Niger, così rifiorisce il Sahel

L'Ong Bambini nel Deserto ha attivato un progetto di micro credito per finanziare attività generatrici di reddito: destinatarie le donne, nigerine o migranti, vera garanzia di successo.

13/11/2012

Agadez, dipartimento di Tchirozerine, Niger. Un luogo dimenticato dell'Africa, lontano dalle più battute rotte turistiche del continente, che in passato è stato definito come l'inizio della fine del mondo. In un'economia tra le dieci più povere al mondo, in cui neanche la presenza di giacimenti di uranio ha contribuito a migliorare le condizioni di vita della popolazione, costretta a un reddito pro capite medio che si stima in circa 800 dollari, fare impresa è impensabile. Se alle condizioni climatiche sfavorevoli, a una situazione politica relativamente tranquilla da poco più di un anno, alla carestia che ha messo in ginocchio l'intera ragione del Sahel negli ultimi mesi, a una terra indubbiamente meno generosa rispetto ad altri Paesi limitrofi, si aggiunge l'emergenza dovuta alle guerre civili, alle rivolte, ai cambi di governo che stanno mettendo a dura prova la tenuta dell'intero Nord Africa, è facile intuire come a nessuno venga in mente di investire in Niger, terra di mezzo se ce n'è una. Già, peccato che dalla sola Libia, con la caduta di Gheddafi, siano giunte almeno 70mila persone che, anche se prima avevano qualcosa, oggi di sicuro non hanno più niente: quel "poco", facilmente, ha salvato loro la vita. Chi sarebbe dunque così pazzo da credere che in Niger, con sacrifici economici minimi uniti a una sana dose di coraggio, programmazione e lungimiranza, si possa davvero generare ricchezza? 

Di sicuro i volontari e i cooperanti dell'organizzazione Bambini nel Deserto che, non a caso in Niger, hanno gettato le basi e sostenuto il consolidamento di efficaci progetti di sviluppo attraverso attività generatrici di reddito con positive ricadute dirette e indirette a favore della popolazione migrante e non residente ad Agadez e delle donne profughe della guerra libica, per lo più ripudiate o vedove i cui mariti sono caduti vittime delle violenze senza scrupoli dei mercenari assoldati dal colonnello Gheddafi per seminare panico e morte tra i civili con una vera e propria caccia "all'uomo nero". L'Ong si è impegnata nel progetto Exodus su piani diversi: terminata l'emergenza dei mesi in cui in Libia infuriava il conflitto e il Niger era tutt'altro che pronto ad affrontare un flusso migratorio di tale portata, lo staff tecnico italiano ha raccolto e interpretato, offrendo da subito risposte concrete, le esigenze manifestate dalle associazioni locali diventando ad Agadez, l'unico punto di riferimento per tutti i rifugiati. In questa fase, BnD ha operato un'azione capillare di informazione su temi di carattere legislativo, in particolare cercando di spiegare il confine sottile e delicato che spesso corre tra immigrazione clandestina e diritto di asilo, e sanitario, per prevenire eventuali epidemie. 

Ma non è tutto: si è infatti sentito il bisogno di dare nuova speranza e nuovo impulso alla vita sociale ed economica della comunità. Da qui l'idea che 84 donne (nigerine e migranti), beneficiarie di piccoli micro crediti per il sostegno all’installazione di attività generatrici di reddito, fossero appositamente formate in gestione di micro-imprese. Un approccio originale per supportare le azioni di contenimento dei flussi migratori verso nord e facilitare il reinserimento nel circuito economico di una numerosa fetta di popolazione che altrimenti sarebbe, a priori, lavorativamente esclusa e socialmente emarginata. È così che sono nati piccoli negozi-laboratori di tessuti, cuoio, maglia, profumi, legno: in meno di un anno, tutte coloro che hanno ricevuto il denaro necessario all'avvio dell'attività (171 euro a testa), hanno saldato il loro debito. D'altronde, come ricorda Luca Iotti, presidente di BnD reduce da una missione proprio ad Agadez dove ha potuto monitorare alcuni progetto sostenuti dall'associazione, «le donne sono una garanzia in questo senso: quello che ricevono, puoi stare sicuro che lo restituiscono. Hanno una marcia in più, forse dovuto alla responsabilità che sentono di avere sulle spalle in quanto madri, mediamente di almeno due figli».

Alberto Picci
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Postato da Franco Salis il 13/11/2012 10:51

Senti Alberto Picci, adesso basta con questi resoconti, fra l’altro non riscontrabili. Ma non è questo che mi interessa, sono portato spontaneamente alla fiducia degli operatori e gestori. Il fatto è che mi sono stancato di leggere resoconti e MAI, DICO MAI che qualcuno si azzardi a tentare, almeno, una analisi sulle cause che hanno prodotto tale situazione. Ma lo vuoi capire che in Africa si stava “bene” fintanto che non sono andati i missionari (non tutti i missionari si sono comportati da massacratori, incoraggiati dal Papa, ma alcuni, pochi, hanno fatto cose egregie, a rompere gli equilibri soprattutto di natura culturale e religiosa?! Ma lo vuoi capire che la violenza che manifestano oggi è il prodotto della violenza di cui sono state vittime? Ma non venirmi a dire le boiate che leggo in alcuni siti di cattolici-come li devo chiamare per non offenderli-tradizionalisti? Non venirmi a dire le boiate di un professore di teologia in una università pontificia! Così Marco Tarquinio (vedi Avvenire.it di oggi) si è stancato, poverino, di rispondere sempre che la “chiesa” ha sempre pagato l’I.C.I. con tanto di pezze giustificative (quelle di cui dispone). Anzi che stancarti nel dire “ la chiesa ha sempre pagato”; come in precedenza ho chiesto, pubblicha TUTTI I BENI ,CON DATI CATASTALI, RICONDUCIBILI ALLA CHIESA. Finché non avrai fatto questo -lo so è oneroso- non puoi dire che la chiesa “ha pagato tutto”. CHIARO? I lettori e i fedeli sono molto meno stupidi di quanto sembrino, per effetto della loro generosità. Ajò

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