Olinda, la creatività batte le follia

E' il nome di una delle "città invisibili" di Calvino: a Milano, l'ospedale psichiatrico Paolo Pini si trasforma in luogo di vita e di riscatto per le persone con disagio mentale.

15/10/2011
Milano: lo staff di Olinda.
Milano: lo staff di Olinda.

C’era una volta a Milano il Paolo Pini, il grande ospedale psichiatrico della periferia nord. Centinaia di migliaia di metri quadrati di terreno pubblico, milleduecento malati ricoverati nel periodo di massima espansione, una vera “città dolente” separata e oscura, come tutti i luoghi della malattia mentale. Oggi in quell’immenso parco passano ogni giorno centinaia di persone per pranzare o cenare, bere qualcosa, andare a teatro o ad ascoltare musica, dormire se si è di passaggio, per lavoro o turismo.


Milano, Olinda: il ristorante Jodok.
Milano, Olinda: il ristorante Jodok.


Il Paolo Pini è diventato Città Olinda (dal nome di una delle “città invisibili” del romanzo di Italo Calvino), un luogo inimmaginabile di creatività e scambio sociale. L’ostello, il ristorante Jodok, il teatro ricavato nelle ex cucine, la coltivazione di erbe aromatiche, il laboratorio di pasta fresca, sono tutti nati come progetti di reinserimento sociale e lavorativo di persone con problemi mentali, all’inizio ex ricoverati, poi provenienti da tutto il territorio.Quando l’ospedale ha chiuso, nel 1999, con l’abolizione dei manicomi voluta dalla legge Basaglia, un gruppo di operatori ha concepito un sogno: trasformare quegli spazi, quelle risorse in un’opportunità di vita per le persone con problemi mentali. Il sogno è diventato realtà con la nascita della cooperativa Olinda, un’impresa sociale che gestisce tutte le attività, affiancata dall’omonima associazione di volontariato. 


Milano: l'ex cucina dell'ospedale psichiatrico Paolo Pini trasformata in teatro.
Milano: l'ex cucina dell'ospedale psichiatrico Paolo Pini trasformata in teatro.


Uno degli assi portanti di Olinda è la relazione continua tra cosiddetti “normali” e malati, attraverso il lavoro e l’incontro. Nell’ostello vivono stabilmente cinque pazienti, insieme con gli ospiti paganti, turisti o viaggiatori per lavoro. In tutti i luoghi di lavoro i cuochi, i camerieri, gli impiegati, i giardinieri, i tecnici di spettacolo e gli attori, sono mescolati. Grazie al lavoro cadono i muri tra le persone: il confine tra normalità e follia è sottile, e comprendere questo è il primo passo per accettare sé stessi e gli altri. Ogni anno circa 15 con disagio psichico vivono qui altrettanti progetti di inserimento lavorativo, insieme a una ventina di operatori e a decine di volontari.
Gli spazi inutilizzati sono ancora tanti a Olinda e anche le idee: ad esempio, un laboratorio per la creazione di video, dedicato ai giovani del territorio. 

Ida Cappiello
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