16/04/2012
I 15 alunni del liceo Enrico Fermi di Salò (foto Rossetti).
C’è differenza tra il visitare l’Africa da
turista e il viverla da volontario, e a
17 anni Enrico Frazzini l’ha già capito:
«Ero stato in Kenya in vacanza
con la mia famiglia, servito e riverito in albergo,
e questa volta in Tanzania non sapevo cosa
aspettarmi. È stata un’esperienza molto
più forte di quanto pensassi, con emozioni diverse
da quelle solite. Per esempio, giocare
con bambini malati pieni di problemi, a rischio
di morte, e vederli sorridere felici, disposti
a rimanere sotto una pioggia forte pur
di continuare il gioco con te...».
Il padre missionario a cpo del "Villaggio della gioia" (Foto Rossetti).
Enrico è l’unico studente maschio nel
gruppo di 15 alunni del liceo Enrico Fermi di
Salò, in provincia di Brescia, che hanno trascorso
le vacanze di Natale e Capodanno come
volontari in due missioni della Tanzania:
il “Villaggio della gioia” di Dar es Salaam,
che ospita 120 orfani, e il “Villaggio della
speranza” a Dodoma, con 160 bambini orfani
malati di Aids. Il fatto singolare è che questo
viaggio (che per loro sarà a tutti gli effetti
la gita scolastica dell’anno) è stato proposto
e organizzato dalla scuola. Beninteso: il costo
lo hanno coperto i ragazzi, così motivati
da lavorare in molti d’estate e nei fine settimana
in ristoranti e pizzerie e da dare un taglio
ad altre spese che si fanno alla loro età.
Per tutti i ragazzi l'esperienza di volontariato in Tanzania è stata positiva (foto Rossetti).
Ma l’idea, l’assistenza e l’accompagnamento
sono opera di alcuni docenti, con il totale
avallo della presidenza. Osserva il preside
Francesco Mulas, reggente scolastico per
quest’anno: «Il liceo è molto aperto a scambi
sul territorio e verso l’esterno e l’estero, e
l’idea del corpo docente è che formi non solo
futuri professionisti, ma cittadini consapevoli
capaci di una lettura critica del mondo».
L’iniziativa è partita nel febbraio 2008
dall’idea di Massimo Sgarbi, insegnante
d’inglese: «Dopo anni che, come scuola, facevamo
scambi culturali con l’estero, ci è venuta
voglia di aggiungere la possibilità di
dare una mano a chi ha bisogno. La prima
volta abbiamo utilizzato la normativa sugli
scambi culturali, ma negli ultimi tre anni siamo
andati in Tanzania durante le vacanze di
Natale o di Pasqua». Il professor Sgarbi li ha
accompagnati cinque volte, «e per me è stata
l’esperienza sia professionale sia umana più
straordinaria che abbia fatto. Quanto ai ragazzi, permettere loro, a questa età, di incontrare missionari di spessore è un bel passo. Di sicuro non rimangono indifferenti».
In effetti, mentre raccontano a noi i loro
giorni in Africa, Enrico Frazzini e le sue 14
compagne di scuola e di viaggio mostrano
tutto tranne che indifferenza. Compassione,
come Martina Baccolo, 16 anni: «Era triste
vedere la gente per strada, che dormiva per
terra, e aveva gambe magrissime per la povertà
». Ma anche gratitudine: «Mi sono sentita
a casa perché ci dimostravano ospitalità e
apertura, anche se noi eravamo i “bianchi ricchi”.
A Milano qualcuno che ti dia il benvenuto
sembrerebbe stranissimo, là è normale».
Riflessione, come Alessia Bonato, 17 anni:
«I bambini non osservano come sei vestito,
ma ti guardano proprio negli occhi. Gli basta
che giochi con loro. D’ora in poi non vorrei
più fare la turista, perché non stai a contatto
con le realtà di vita. E mi piace il volontariato,
inizio un corso con la Croce rossa».
Maturità, come Silvia Foresti, 18 anni: «È la
seconda volta che vado, perché l’Africa mi ha
colpito nel cuore. Vivono senza tetto, letto, cibo
e sono felici così. Noi abbiamo tutto e vorremmo
sempre di più. Mi piacerebbe diventare
medico, e dopo essere utile là».
Finora 80 ragazzi del liceo di Salò hanno
affrontato questa gita scolastica anomala, durante
la quale svolgono lavori manuali necessari
ai Villaggi e stanno con i bambini, li fanno
giocare e ridere, aggiungendo la loro energia
giovanile a quella dignità di vita, alle cure
e all’istruzione che i missionari garantiscono
a tanti piccoli sottratti alla sofferenza e
all’abbandono. Chiedendo ai nostri 15 se siano
tornati diversi, la risposta è corale: «Sì,
perché abbiamo riscoperto i valori. Vediamo
con occhi diversi la nostra realtà: abbiamo
troppe cose e non riusciamo a vivere con
semplicità». E lo affermano con la naturalezza
bella e vitale che i giovani positivi mettono
in tutto, anche nel fare il bene.
Da loro non si aspettava niente di meno il
professor Fabrizio Galvagni, docente di italiano
e latino, che li ha accompagnati due
volte in Africa: «Quando si semina, qualcosa
cresce. Anche in chi al momento non lo dimostra,
il seme lavora. E ci sono testoline e cuoricini
che rispondono subito, e ti danno più
soddisfazione di quando fanno una versione
di latino riuscita bene».
Rosanna Biffi