Cibo per tutti, sfida del nostro tempo

Secondo le Ong Oxfam e Save the Children è costato migliaia di morti, e milioni di dollari, il ritardo della comunità internazionale nel rispondere all'emergenza nel Corno d'Africa.

04/02/2012
Famiglie somale in coda per il cibo (foto Reuters).
Famiglie somale in coda per il cibo (foto Reuters).

Il ritardo della comunità internazionale nel rispondere ai primi segnali di crisi alimentare in Africa orientale è costato migliaia di morti e milioni di dollari. Lo affermano le Ong Oxfam e Save the Children nel rapporto “Un pericoloso ritardo”. In Corno d’Africa gli interventi avrebbero dovuto essere più tempestivi e anche se è impossibile calcolare esattamente quante siano le vittime della siccità che ha colpito la regione. Un dato per tutti: nel solo periodo aprile-agosto 2011, il governo britannico ha stimato tra 50 e 100.000 decessi, di cui più della metà bambini sotto i 5 anni. Secondo il governo statunitense, più di 29.000 bambini minori di 5 anni sono morti in 90 giorni tra maggio e luglio. Oggi la Somalia è ancora colpita dalla peggior crisi alimentare del mondo con centinaia di migliaia di persone a rischio.

Un centro per la distribuzione di viveri in un distretto a Sud di Mogadiscio (foto Reuters).
Un centro per la distribuzione di viveri in un distretto a Sud di Mogadiscio (foto Reuters).


Qualche azione preventiva è stata intrapresa, ma la crisi richiedeva un maggiore impegno e gli interventi più costosi sono stati effettuati troppo tardi. Trasportare 5 litri di acqua al giorno per 5 mesi - nel tentativo estremo di salvare la vita a 80.000 persone in Etiopia - costa più di 3 milioni di dollari. Al contrario, nella prime fasi della siccità, sarebbero stati sufficienti 900.000 dollari per predisporre fonti di approvvigionamento idrico nella stessa area. L’Africa occidentale è minacciata dal rischio di una crisi alimentare che potrebbe colpire milioni di persone. Secondo Save the Children, in alcune aree del Niger, intere comunità sono già alle prese con scorte di cibo, denaro e carburante minori di un terzo rispetto al livello minimo necessario per sopravvivere. Più in generale, nel Sahel la produzione di cereali è diminuita del 25% in un anno e i prezzi sono aumentati del 40% rispetto alla media degli ultimi 5 anni. L’ultima crisi alimentare nella regione ha colpito 10 milioni di persone nel 2010. Uno scenario che il Forum Economico Mondiale e l’Unione Africana non possono permettersi di ignorare, se vogliono evitare un disastro umanitario.

Peronale delle Nazioni Unite distribuisce il cibo in un villaggio del Corno d'Africa (foto Reuters).
Peronale delle Nazioni Unite distribuisce il cibo in un villaggio del Corno d'Africa (foto Reuters).


Per questo è cruciale non ripetere gli errori fatti nel Corno d’Africa. Secondo il rapporto di Oxfam e Save the Children, le agenzie umanitarie e i governi hanno indugiato per sei lunghi mesi prima di fornire aiuti su larga scala. Si sono attese le prove inequivocabili di una catastrofe umanitaria invece di agire per prevenirla. I sistemi più avanzati di allerta avevano preannunciato la probabile emergenza in Africa orientale per agosto 2010. Ma una risposta vera e propria c’è stata solo a luglio 2011, quando i tassi di malnutrizione in alcune regioni avevano superato di gran lunga la soglia di emergenza, e i media avevano cominciato a interessarsi della crisi.

(foto Reuters)
(foto Reuters)


«Siamo tutti responsabili del ritardo che è costato così tante vite umane in Africa orientale e dobbiamo imparare la lezione», afferma il direttore di Oxfam Barbara Stocking. «È ingiusto che i più poveri paghino il prezzo del nostro fallimento. Agire presto significa salvare vite, ma in generale le agenzie umanitarie hanno preferito stanziare fondi solo a crisi acclamata, per evitare ogni sorta di rischio». Gli fa eco Kofi Annan, presidente dell’Africa Progress Panel ed ex segretario generale dell'Onu: «Assicurare a tutti cibo a sufficienza è la sfida del nostro tempo e il successo nell’alleviare la fame diffusa dipenderà in larga parte dalla capacità d'identificare i primi segnali di allerta delle crisi alimentari e rispondere in modo rapido ed efficace».

Gabriele Salari
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Postato da Ilvio d'Onofrio il 09/02/2012 16:28

Tanti possono e sanno dire molto meglio di me, però io posso confermare quanto scritto da Gabriele Salari, perché ho passato anni nel Continente Africano e ne ho viste veramente di cose incredibili, ordite da organizzazioni internazionali, pur di ottenere il proprio tornaconto : inganni, bugie, ricatti. Portavano via tutte le ricchezze locali, per poi lasciare indietro solo il classico tozzo di pane. Gli abitanti di questo Pianeta sono poco e male informati sull'argomento, quel poco che conoscono è come l'ombra di un filo d'erba, è nulla. Io penso che i giovani debbano essere costantemente tenuti al corrente dei fatti reali, allo stesso tempo, spingerli ad organizzare

Postato da Franco Salis il 04/02/2012 19:43

Ma questi signori (nel senso di generosi) di Oxfam e Save the Children, che cosa fanno da una crisi e l’altra? L’Africa è il continente forse più ricco del mondo. E’ mai possibile, nonostante un incremento demografico elevatissimo (ho sentito parlare di sette figli per donna)che non si possa creare nelle zone a rischio delle “aziende” che assicurino almeno la sopravvivenza? Oxfam e Save the Children possono almeno progettare queste “aziende” anzi che farsi venire l’ansia e farla venire agli altri nei momenti di recrudescenza delle “crisi”. L’azienda ha bisogno in sostanza di sole due cose: l’acqua e l’energia. Energia ce ne è anche troppa (solare) e la si potrebbe anche esportare Non rompiamo la pazienza e non proponetemi i costi elevati , perché il costo di un modulo fotovoltaico costa un decimo di quello che potrebbe costare a me. .“Trasportare 5 litri di acqua al giorno per 5 mesi - nel tentativo estremo di salvare la vita a 80.000 persone in Etiopia - costa più di 3 milioni di dollari” con quelle somme distribuisco acqua a tutta l’Africa (sto esagerando). Mi chiedo da dove a dove e con quali mezzi e per quanti kilometri. Spero non mi diciate con autobotti. Se i costi fossero superiori al 30% di quelli in paesi sviluppati, vuol dire che anche nel Corno d’Africa c’è il “magna, magna”. E’ verosimile che vi siano i costi per la sicurezza: ma i caschi blu che ce li abbiamo a fare? Ma sono convinto che il problema sicurezza viene meno quando il bene viene equamente distribuito. Inoltre i funzionari dell’ONU, oltre a prendersi stipendi stratosferici, che cosa fanno?

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