Taras, imprenditore di ritorno

La storia di un padre di famiglia ucraino partito dall'Ucraina con una laurea in veterinaria alla volta dell'Italia, dove ha fatto di tutto. Fino all'incontro con Soleterre

09/04/2013
Scorcio di Sokal, Ucraina
Scorcio di Sokal, Ucraina

Taras è felice: aprendo un negozio di animali nella sua Sokal ha chiuso un cerchio che si era aperto con la laurea in veterinaria. In mezzo, 8 anni da migrante in Italia per risparmiare qualche soldo. 8 anni durante i quali ha accettato di fare qualsiasi genere di lavoro, (sotto)pagato spesso alla giornata, come manovale, operaio, autista. Non è facile essere migranti senza nemmeno uno straccio di documento in mano. Non è facile accettare di vedere le proprie aspettative andare in frantumi. Non è facile ripagare il debito che si è contratto per permettersi il "viaggio della speranza". Non è facile dimostrare nel Paese ospitante di essere persone perbene, oneste, in cerca esclusivamente di un'occasione.


Se poi ce la fai, però, la soddisfazione è incalcolabile: Taras è partito da Sokal, una cittadina ucraina di 25mila abitanti nella regione di Leopoli, al confine con la Polonia da cui, si stima, circa 1/5 della popolazione economicamente attiva vive l'esperienza della migrazione. Il flusso è cominciato con la caduta del regime comunista agli inizi degli anni Novanta, e in particolare quello verso l'Italia, a partire del 2000, è stato un crescendo costante. Nel 2001 era il quarto di destinazione tra i Paesi UE, nel 2008 è diventato il secondo dopo la Russia, assorbendo il 13% del flusso migratorio

Tante le ragioni di questo spostamento di massa, su tutte la disoccupazione. Il salario di un migrante, si calcola, si aggira intorno agli 820 dollari al mese, più del triplo di una salario medio in Ucraina (281 dollari). I giovani, in particolare, nonostante il più delle volte vantino una formazione scolastica di alto livello fanno davvero fatica a conquistare standard di vita decorosi.


In gergo le chiamano "generazioni sandwich", un fenomeno che si sta radicando nelle regioni dell'Ucraina occidentale caratterizzato da persone strette da due esigenze: da una parte il sostegno ai genitori, dall'altra ai figli minorenni. D'altronde il 22% delle famiglie ucraine è costituito da componenti di 3 generazioni. Le migrazioni verso l'estero rappresentano un'importante entrata economica per lo Stato ucraino: nel 2011 le rimesse in ingresso sono state stimate intorno ai 6.500 milioni di dollari. In particolare, stando all'elaborazione Dossier Caritas su dati Banca d'Italia, si parla di 166,371 migliaia di euro annui verso l'Ucraina.  

C'è un dato particolarmente significativo che si incrocia con i destini di Taras: secondo l'European training foundation, la maggior parte delle rimesse viene dedicata al mantenimento delle famiglie (73%), il 26% all'acquisto di beni di consumo e appena il 3,3% per l'avvio di nuove imprese. A queste condizioni, dunque, per quanto possa essere agognato, il ritorno in patria diventa ogni giorno che passa un miraggio più lontano.


Questo miraggio ha rappresentato la nuda e cruda realtà di Taras nei suoi anni di permanenza bresciana. Certo, essere stato irregolare non ha facilitato una condizione che, peraltro, nei primi anni si è sviluppata nell'esclusivo interesse dei creditori, cioè di coloro che avevano prestato, a quali interessi non è dato sapere, i soldi necessari a migrare in Italia.

Dopo quattro anni, con la regolarizzazione, arrivano anche lavori più continuativi al punto che Taras può giustamente "vantarsi" di essere riuscito ad accantonare metà delle proprie entrate e costruire un piccolo capitale utile per realizzare un sogno. Il suo sogno.

Nel 2009, dunque, Taras torna in patria: i suoi risparmi devono diventare una clinica veterinaria, ciò per cui aveva studiato. La costruzione di un piccolo padiglione inizia ma l'uomo, come la maggior parte dei migranti di ritorno, deve fare i conti, dopo un lungo periodo di assenza, con una fase di ambientamento sia da un punto di vista relazionale ed emotivo ma anche lavorativo e pratico.


Nel 2010, Taras ha conosciuto il progetto "Supporto alla genitorialità transnazionale e reintegrazione sociale ed economica dei migranti di ritorno" sviluppato tra il 2010 e il 2012 dall'associazione Zaporuka in partnership con Soleterre e con il sostegno economico di Unicredit foundation e del Comune di Milano.

Nel 2011, l'associazione Women's perspectives, anch'essa partner di progetto, ha tenuto un corso sull'avviamento di una start up. In questa sede, Taras ha potuto confrontarsi con altri imprenditori nella sua stessa condizione e, soprattutto, aspetto ancora più importante, ha usufruito della consulenza e della competenza di esperti per sviluppare al meglio la propria idea. E Taras ci è riuscito, vincendo il relativo bando e potendo così contare sull'erogazione di un finanziamento a fondo perduto a condizione che il futuro imprenditore garantisse un suo personale investimento pari a 1/4 del totale.  

Dalle analisi effettuate in fase di rielaborazione del progetto, Taras ha capito la necessità di ri-orientare il proprio sogno, senza per questo perdere il know how acquisito e la rete di relazioni costruita fino a quel momento. La clinica veterinaria, però, diventa un "pet shop", un negozio di animali. Dopo pochi messi dall'avvio, Taras comunica di essere già "rientrato" delle spese sostenute per l'avviamento e si dice pronto a reinvestire parte del prossimo capitale in un'offerta più ampia di prodotti e servizi. Segno, quest'ultimo, di un cambio di prospettiva vincente.


I sacrifici, infatti, meritano di essere premiati. Ma serve anche una preparazione adeguata per non vederli svanire in un attimo. L'entusiasmo, la convinzione nelle proprie idee, peraltro elementi vitali in storie come quella di Taras, non sono però sufficienti: servono lungimiranza e umiltà. 


Alberto Picci
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