Divorziati, conviventi e Battesimo

Possono un divorziato e la sua convivente far battezzare il proprio bambino? Sì, a condizione che ambedue i genitori, o almeno uno di essi, garantiscano l'educazione cristiana.

18/12/2012
Risponde il teologo Silvano Sirboni
Risponde il teologo Silvano Sirboni

Possono un divorziato e la sua convivente far battezzare il proprio bambino?

Lettera firmata

La Chiesa, che con tutte le sue forze difende l’ideale evangelico del matrimonio unico e indissolubile, non chiude la porta del Battesimo ai bambini, figli di conviventi, che con storie assai diverse si trovano in una evidente situazione familiare “irregolare”, cioè non secondo il progetto ideale cristiano.

I bambini davanti a Dio sono tutti uguali e ugualmente chiamati a instaurare un rapporto di comunione con Dio. Anche nel caso in cui non fosse possibile regolarizzare la posizione matrimoniale dei genitori, è possibile battezzare il bambino «a condizione che ambedue i genitori, o almeno uno di essi, garantiscano di dare ai loro figli una vera educazione cristiana».

Se i genitori non si sentono in grado di farlo, il padrino o la madrina, o un parente prossimo o un membro qualificato della comunità cristiana, deve assumersi seriamente questa responsabilità e impegnarsi ad accompagnare il bambino fino al completamento della sua iniziazione cristiana con la Cresima e la prima partecipazione all’Eucaristia. E, possibilmente, anche dopo, fin quando necessario o opportuno.

Silvano Sirboni
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Postato da Giuseppe Consoli il 27/12/2012 18:15

Una coppia che, di fatto, non è cristiana non credo possa fornire reali garanzie, in proprio o, ancora peggio, per interposta persona di "accompagnare il bambino fino al completamento della sua iniziazione cristiana con la Cresima e la prima partecipazione all'Eucaristia". I bambini sono certamente "tutti uguali e ugualmente chiamati a instaurare un rapporto di comunione con Dio": ma di questo se ne fa carico direttamente Lui, anche nei confronti dei bambini che, non vivendo in una realtà cristiana, ne sono di fatto impediti. Se invece si fa dipendere la "comunione con Dio" da una promessa di uomini, la cui portata spesso è anche sconosciuta agli stessi promittenti, si rischia di trasformare il Battesimo in un rito vuoto. E poi la vita cristiana termina con la prima Comunione e la Cresima? Oppure il "dopo" è soltanto quello "necessario od opportuno". E quando è "necessario od opportuno"? C'è un momento in cui si può disattendere la necessità di essere condotti ed educati alla fede, anche da adulti?

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