Napoli, cenacolo di solidarietà

Un convegno nazionale di chi aiuta il prossimo organizzato dall’arcidiocesi, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità papa Giovanni XXIII sul tema “Il dono e la speranza".

20/06/2011
La basilica di San Lorenzo, nel cuore di Napoli, gremita, durante il convegno "Il dono e la speranza" (foto: Comunità di sant'Egidio).
La basilica di San Lorenzo, nel cuore di Napoli, gremita, durante il convegno "Il dono e la speranza" (foto: Comunità di sant'Egidio).

«In un mondo dove tutto si vende e si compra la gratuità è una dimensione preziosa,  che va riscoperta e rilanciata per arginare la devastazione interiore figlia della mercificazione». Così monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, commenta e sintetizza lo spirito del convegno degli «amici dei poveri» dal titolo «Il dono e la speranza», organizzato nel capoluogo campano il 18 e 19 giugno dalla Comunità di Sant’Egidio e dall’Arcidiocesi partenopea con il supporto della Comunità Papa Giovanni XXIII: tappa fondante del cammino di iniziative del Giubileo per Napoli «che avrà un seguito», assicura Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio tirando le fila di due giorni di cittadinanza attiva densi di testimonianze, contributi, storie, incontri, relazioni e lavori di tredici gruppi di studio, che hanno coinvolto da tutta Italia oltre duemila uomini e donne di buona volontà di 150 movimenti e associazioni ecclesiali e laiche.

Da sinistra: il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, e il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, durante il convegno "Il dono e la speranza" (foto: Comunità Sant'Egidio).
Da sinistra: il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, e il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, durante il convegno "Il dono e la speranza" (foto: Comunità Sant'Egidio).

Una vera e propria assemblea di popolo che sta in mezzo ai poveri, e fa tornare i poveri al centro dell’interesse del Paese. Un grande cenacolo di laici e religiosi che in monumentali basiliche e chiese a porte aperte della terza città d’Italia, capitale della bellezza e della povertà, del sangue e della speranza, hanno provato «a riscrivere gli Atti degli Apostoli del nuovo millennio con una narrazione corale intrisa di storie» - spiega Impagliazzo - «ed erede di una lunga storia di amore per i poveri delle prime comunità cristiane: dai padri della Chiesa ai martiri odierni della carità, come suor Annalena Tonelli, don Pino Puglisi e tanti altri». Una narrazione arcobaleno, oltre le cronache nere, grigie, rosa, bianche dei mass media globalizzati. Che non si è nascosta difficoltà e ostacoli, ma ha dipinto riflessioni, azioni e visioni con tutti i colori della solidarietà. Della fede credente, credibile e creduta. Dell’amore incarnato nella ferialità, continuità e fedeltà dei gesti quotidiani, ripetitivi: capaci di svelare lo straordinario che vive nell’ordinario, ritrovando la speranza contro ogni rassegnazione e la fantasia «per immaginare – aggiunge Impagliazzo - un nuovo umanesimo, che ricongiunga il sacramento dell’altare a quello dei poveri, e rilanci il messaggio del profeta Sofonia di un’alleanza tra umili e poveri».

Gli fa eco l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, prima di celebrare la messa domenicale a conclusione del convegno: «Siamo uomini e donne del sì, della risposta all’amore di Dio per noi incarnato nei poveri che rispecchiano la bellezza del volto di Cristo». Ne sa qualcosa Rosa Foti da Palermo, madre di un ragazzo disabile reso felice da una visita ai carcerati: «Quando ci si incontra senza competizioni tutti diventiamo migliori, e proviamo una grande gioia», dice. Forse, è solo questione di cambiare ottica, come suggerisce Elisa Ferraro, focolarina: non cambiare città, ma cambia la tua città è il suo slogan applauditissimo. Aggiunge il parroco di Lampedusa, Stefano Nastasi: «Li chiamano clandestini, irregolari, immigrati. A noi piace chiamarli semplicemente fratelli».

Ed è proprio questo il filo rosso della due giorni napoletana: l’incontro personale di ciascuno con i poveri, «non come categoria da assistere – conclude Impagliazzo - ma come fratelli e sorelle che nella loro debolezza ci mostrano il volto di Gesù, maestri di speranza e profeti per la vita di tutti noi, che ci provocano all’amore, ci insegnano ad amare, ci aiutano nell’educazione dei giovani e, come la malattia che può essere profezia, donano valore aggiunto alle nostre vite, opportunità per cogliere il senso e il valore vero dell’esistenza». Un incontro che pelude ad azioni concrete, spiega la Comunità di Sant’Egidio: difendere il diritto dei poveri a vivere nelle nostre città; promuovere reti di prossimità, domiciliarità e amicizia per e con i più deboli; recuperare il senso della città come comunità umana che si (pre)occupi di anziani, minoranza Rom, disabili “portatori non di handicap, ma di Cristo”, di mamme e i bambini soli, famiglie disagiate, giovani spaesati, malati. Il «dono e la speranza», appunto. Perché, come suggerisce il filosofo Edgar Morin, la rinuncia al migliore dei mondi non è la rinuncia ad un mondo migliore.

Donatella Trotta
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