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Le ultime sette parole di Cristo

Peter Paul Rubens, (1577-1640), Cristo risorto, Firenze, Galleria Palatina.

Domenico Theotokopulos, detto El Greco (1541-1614)
Cristo crocifisso fra due donatori, Parigi, Louvre (immagine Scala)

«Era tradizione eseguire, nella cattedrale di Cadice, durante il periodo quaresimale, un oratorio. I muri, le finestre e le colonne della chiesa venivano coperte di drappi neri e solo un grande lampadario centrale illuminava il buio più profondo. A mezzogiorno tutte le porte venivano chiuse e la musica prendeva inizio. Dopo un preludio appropriato, il vescovo saliva all’ambone e pronunciava una delle sette parole, commentandola. Al termine del sermone scendeva dalla sede e raggiungeva l’altare, prostrandosi dinanzi al crocifisso. La musica veniva suonata successivamente – in queste pause – e così via per tutte le sette parole. La mia composizione si innesta conformemente in questa pratica».

Così lo stesso Franz Joseph Haydn – compositore austriaco nato a Rohrau nel 1732 e morto a Vienna nel 1089 mentre la città era assediata dalle truppe napoleoniche – presentò la struttura del suo oratorio più famoso, Le ultime sette parole del nostro redentore in croce, eseguito per la prima volta nel 1786. L’opera, scritta per essere eseguita nella Settimana santa, riprende sette brani del Vangelo cui corrispondono le prime note dell’attacco delle rispettive sonate: 1. Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno. 2. In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso. 3. Donna, ecco il tuo figlio! Ecco la tua madre!. 4. Dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato?. 5. Ho sete. 6. Tutto è compiuto!. 7. Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.

La corrispondenza testo-musica accende nello spirito umano sentimenti di viva partecipazione alla Passione di Cristo, come lo stesso Haydin sottolineò: «Ciascun frammento di testo ha ricevuto nella musica strumentale un trattamento tale da commuovere anche l‘ascoltatore più inesperto nelle profondità della sua anima». Nella stessa misura il pittore cretese El Greco (1541-1614, che lavorò nella Spagna del Seicento, ci offre questa contemplazione di Cristo crocifisso tra due donatori che, partecipando alle sofferenze del Redentore, ci spingono a fare altrettanto.

Alfredo Tradigo

Pubblicato il 27 marzo 2013 - Commenti (0)
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