07/10/2010
Nel giugno del 2001 Famiglia Cristiana
ha intervistato a Parigi Mario Vargas Llosa,
in occasione della presentazione
della grande opera Einaudi sul romanzo,
di cui lo scrittore aveva curato l'introduzione.
Riproponiamo qui sotto l'intervista completa.
Perché gli uomini non possono vivere
senza il romanzo?
«Perché non sono contenti della loro
vita. L’uomo ha bisogno di una vita più
ricca, complessa, emozionante di quella
che ha. La distanza tra la vita vissuta
e la vita sognata è occupata dall’immaginazione.
E il romanzo è l’espressione
scritta dell’immaginazione: per questo
è una necessità vitale». Parlare di letteratura con Mario Vargas
Llosa è come salire su una vetta altissima
e lasciare andare lo sguardo verso
un punto in cui le cose si mostrano
nitidamente. La sua parola poggia su
fondamenta solide: è fra i più grandi
scrittori contemporanei, autore di romanzi
ma anche di saggi e testi teatrali,
intellettuale che non disdegna l’impegno
“politico” (nel 1990 si candidò alle
presidenziali in Perù per contrastare, invano,
Fujimori), è l’interlocutore ideale
per cercare di capire che senso abbia,
oggi, scrivere e leggere romanzi.
Il romanzo è in grado di cambiare la
realtà?
«Indirettamente, sì. Quando il lettore
torna alla vita reale dal mondo meraviglioso
del romanzo, non è più lo stesso:
la vita gli appare brutta e povera. Questa
insoddisfazione è la scintilla che fa
divampare non soltanto l’attitudine critica,
ma anche un’energia sovversiva, rivoluzionaria.
Ogni struttura di potere
dice: la vita è perfetta così com’è. Al lettore
il romanzo suggerisce l’opposto: la
vita non va bene così com’è. E prospetta
un’alternativa».
In che modo il romanzo moderno influenza
l’individuo e l’immaginazione
collettiva?
«È una presenza non misurabile, ma
certa. Posso citare alcuni casi esemplari:
tanti giovani europei si sono suicidati
dopo aver letto I dolori del giovane
Werther, la pubblicazione di Madame
Bovary ha creato in Francia una visione
romantica dell’esistenza... Il romanzo
mette a fuoco ciò che è confuso nel cuore
dell’individuo e nell’atmosfera di
un’epoca storica».
Oggi il romanzo soffre la concorrenza
del cinema e della televisione...
«Sì, ma tra l’immagine e la parola scritta
c’è una differenza incolmabile: l’immagine
è conformista, perché non esige
uno sforzo per convertire le parole
in immagini, e pertanto risulta più controllabile
della letteratura. Il film può essere
divertente e originale, ma non sarà
mai fonte di inquietudine. La Tv e il cinema
mostrano un mondo accettabile.
Solo il romanzo chiede quella partecipazione
della coscienza che rende la letteratura
incontrollabile».
Quindi lei è ottimista sul futuro del
romanzo...
«La domanda che si deve porre chiunque
oggi abbia a cuore le sorti del romanzo
è: la cultura scritta e l’immagine
possono coesistere, o si scatenerà una
guerra con un solo vincitore? La mia
opinione è che non ci sia nessuna fatalità
che incombe sulla sopravvivenza della
parola scritta, la cui sorte è affidata alle
scelte umane. Se la scrittura diventerà
marginale, sarà perché noi l’abbiamo
voluto o permesso».
Rispetto al passato le idee circolano
più velocemente e ciò ha prodotto un
avvicinamento tra le diverse culture.
In che modo questo può riflettersi sul
romanzo?
«Sarà meno provinciale, perché l’esperienza
umana allarga i suoi orizzonti e
abbatte tutte le barriere. Per contro, il
romanzo sarà sempre espressione della
lingua con cui è scritto. Ecco, la lingua
è la patria del romanzo. L’immagine, invece,
è internazionale».
La globalizzazione cambierà anche
la forma del romanzo?
«La globalizzazione ci rende tutti contemporanei,
ciò che accade in un luogo
è proprietà di tutti. Tale situazione non
può che facilitare la comunicazione,
promuovendo una fecondazione reciproca
tra le diverse forme narrative».
Che cosa si può fare per invogliare i
giovani a leggere?
«È una questione politica: se le istituzioni
investono sulla lettura, gli insegnanti
e le famiglie si appassioneranno
al romanzo. Oggi la Tv fagocita i libri,
ma non è una situazione immutabile».
Quali sono i romanzi che Mario Vargas
Llosa ha più amato?
«I tre moschettieri e Moby Dick quand’ero
bambino, mentre le grandi opere
di Tolstoj, Hugo, Proust, Joyce, Kafka e
Faulkner hanno generato e forgiato la
mia vocazione letteraria».
Paolo Perazzolo