07/10/2010
«Ho pensato fosse uno scherzo. Uno scherzo di cattivo gusto, come quello che fecero ad Alberto Moravia. E’ stata una sorpresa enorme: non mi ricordavo che in questi giorni si assegnasse il premio». Per questo, ha chiesto alla moglie Patricia di aspettare l’annuncio ufficiale prima di darne notizia ai figli. Mario Vargas Llosa ha vissuto così i primi istanti da nuovo Nobel per la letteratura. Ha vinto – si legge nell’interessante motivazione del premio assegnatogli dagli accademici di Svezia – perché con la sua opera ha costruito «una cartografia del potere e per le acute immagini dalla resistenza, della rivolta e dello scacco dell’individuo».
In effetti, sia la vita che la produzione letteraria e teatrale di Varga Llosa si sono intrecciati continuamente con la politica e la questione del potere. Nato ad Arequipa, in Perù, il 28 marzo del 1936, esordì nel 1959, ma il successo arrivò nel 1963 con La città dei cani, ambientato in un collegio militare di Lima. Del 1977 è uno dei suoi romanzi più famosi e conosciuti, La zia Julia e lo scribacchino. Grande accoglienza fu riservata anche, nel 1997, a I quaderni di don Rigoberto e, nel 2000, a La festa del caprone. Molto legato al suo Paese, scese anche in politica, candidandosi senza successo nel 1990 alle presidenziali, in contrapposizione ad Alberto Fujimori.
Il suo rapporto con l’Italia è intenso e amichevole. Nel 2004 ha vinto il Grinzane Cavour. A novembre arriverà nelle librerie il suo nuovo romanzo, Il sogno del Celta, ispirato a un personaggio storico, Roger David Casement, diplomatico britannico e patriota irlandese, amico di Joseph Conrad, che si battè contro le atrocità commesse contro gli indigeni nel Congo a inizio ‘900. Lo pubblicherà, come le sue precedenti opere, Einaudi.
Paolo Perazzolo