Caro hacker, ti fermo così

L'iniziativa dell'eurodeputato italiano Motti per garantire la sicurezza dei dati personali su Internet. Il Parlamento europeo ne discute sulla base delle analisi di un esperto che...

Un dibattito mondiale

19/10/2011

Il giro d'affari intorno ai crimini informatici è stato stimato nel 2010 in circa 7 miliardi di dollari. Andiamo dal social engineering, a frodi, furti di identità, stalking, pedopornografia, ricatti. Dal momento che si tratta di un business che sta appassionando la criminalità organizzata e che apre a scenari inquietanti di cyber terrorismo, in Italia, come negli Stati Uniti, dopo l'11 Settembre è stato già avviato un controllo.

     Al Patriot Act di Washington ha fatto seguito a Roma il Decreto Pisanu che ha imposto che i “passaggi digitali” vengano fotografati e conservati per 10 anni. A farlo è stata chiamata la compagnia Telecom. Ci si presenta la seconda situazione di controllo senza garanzie per il cittadino: per un tecnico della compagnia vendere a terzi l'identità e la privacy di un cittadino o addirittura falsare alcuni dati è solo una questione di coscienza personale. Proprio questo è il punto che si vorrebbe superare.

     Il sistema di controllo LogBox, presentato dall’europarlamentare Motti, presumibilmente passerà l’esame della Commissione Europea all'inizio del prossimo anno. Tra i corridoi di Palazzo Berlaymont a Bruxelles c'è già chi mormora che la linea finora è stata quella di “liberalizzare” mentre il sistema ideato da Ghioni vorrebbe controllare. A dire il vero si sentono motivazioni che hanno il sapore dell'ideologia senza la sostanza di una sufficiente competenza in materia.

     In generale bisogna dire che cresce il Partito dei Pirati informatici, che chiaramente chiede libertà ad oltranza, senza se e senza ma. Dal 2009 ha una rappresentanza nel Parlamento Europeo e, a livello nazionale, nella potente Germania, alle elezioni di settembre, ha ottenuto l'8,9% di voti. E’ certo che il dibattito è acceso. Al momento in materia c'è la Direttiva europea 24 del 2006 che, vista la velocità delle innovazioni tecnologiche, chiede urgentemente di essere aggiornata. Dunque è il momento di rimetterci le mani. Facile immaginare in quale direzione spingano le compagnie del settore, compreso quelle pubblicitarie che beneficiano della situazione attuale.

     Resta da dire che il dibattito non è solo europeo: in Australia si sta prevedendo un'archiviazione di 15 anni. In Corea del Sud per severa legge è vietato usare identità digitali diverse da quella reale. Speriamo che l'obiettivo sia tutelare i cittadini utenti del mondo iper connesso, in un'era in cui ovunque, più che mai nella storia, la legislazione fa fatica a tenere il passo della tecnologia.

Fausta Speranza
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