Tra narrazione ed emozione

[ABSTRACT] Articolo pubblicato su Famiglia Oggi di luglio - agosto '11

Ricostruire gli eventi di vita

18/07/2011

L’autobiografia è per Bruner (1996) uno strumento di cui il soggetto dispone per poter dare senso contemporaneamente al Sé e al proprio essere al mondo, attraverso la “ricostruzione interpretativa” degli eventi della propria vita. Dal punto di vista sperimentale, però, è molto complesso studiare la relazione tra memoria ed emozioni, per motivi sia metodologici che etici. In alcuni casi, infatti, bisognerebbe far rievocare al soggetto delle emozioni molto negative; è noto inoltre che rievocare emozioni terrificanti possa indurre delle amnesie che vengono definite psicogene (Ciambelli, 2004). Uno strumentomolto usato con gli adolescenti e che permette di ovviare a questi limiti, è il diario. In quanto strumento self-report può essere usato dall’adolescenza in poi e necessita di un controllo minimo da parte del ricercatore, il quale si limita a chiedere ai partecipanti alla ricerca di registrare le emozioni provate nell’arco di tempo definito e secondo uno schema di risposta più o meno strutturato. Per esempio si può chiedere di trascrivere, oltre alla descrizione dell’emozione e del suo contesto di attuazione (dove si è, e in presenza di chi quando la si prova), l’intensità con cui la si è provata su una scala da 1 a 10 e la durata (Grazzani Gavazzi, Ornaghi, 2007).

Il diario consente di osservare, studiare e comprendere lo stato del Sé, e di costruire un ponte tra situazioni passate, presenti e future, innescando in forma di racconto sia rievocazioni che interpretazioni e proiezioni di esperienze. In numerose ricerche si utilizza una procedura narrativa più “economica” del diario, e cioè il compito di rievocazione orale o scritta di episodi emotivi a partire da stimoli minimi come, per esempio: «Descrivi un episodio della tua vita in cui ti sei sentito/a felice», oppure: «Prova a spiegare cosa significa per te essere felice » (Grazzani Gavazzi,Ornaghi, 2007). In altri casi si fanno compilare diversi questionari corrispondenti a diversi stati emotivi, quali la tristezza, la paura, il senso di colpa, la vergogna, la gelosia, la felicità e la rabbia. Per ogni termine emotivo si chiede di raccontare un evento elicitante l’emozione presa in considerazione (Ciambelli, 2004). Quando si utilizzano metodi narrativi si raccolgono tante informazioni che vanno però circostanziate e analizzate a partire dagli obiettivi della ricerca, altrimenti si hanno parole non utilizzabili. In letteratura i contributi che aiutano a orientarsi all’interno di questo panorama metodologico sono piuttosto frammentari e variegati (Mantovani, Spagnolli, 2003). Le procedure utilizzate per analizzare le storie raccolte in contesti di ricerca sono molteplici e pochissimi sono i contributi che cercano di riflettere criticamente sulle differenti metodologie e di sistematizzarle. L’eterogeneità dei metodi dipende, da un lato, dai diversi interessi alla base delle singole ricerche, dall’altro è dovuta al fatto che il pensiero narrativo può essere analizzato lungo una miriade di dimensioni.

Sulle narrazioni si possono fare diverse analisi quantitative e qualitative, come per esempio: il numero di parole indicanti emozioni positive quando si narra un evento negativo e viceversa, oppure la tipologia di eventi narrati per ciascuna emozione. In particolare, lo studio del lessico psicologico degli adolescenti, inteso come punto d’accesso all’esperienza emotiva interiore, e analizzato impiegando il diario e l’autobiografia ha portato a risultati interessanti per le implicazioni di intervento oltre che di ricerca. Da diverse ricerche (Grazzani Gavazzi, Ornaghi, 2007) è emerso che il vocabolario emotivo degli adolescenti è ampio e complesso, e che essi sono capaci di descrivere riccamente tanto le emozioni di base quanto quelle complesse. Nello specifico l’emozione maggiormente sperimentata è la felicità, ma vengono frequentemente citate anche ansia, paura, rabbia, disgusto, invidia, gelosia, vergogna, imbarazzo e tristezza, che vengono sperimentate con forte intensità; l’emozione negativa maggiormente riferita è la tristezza,mentre la paura viene riferita soprattutto dai preadolescenti in relazione sia a situazioni relazionali (scuola, casa, gruppo di amici, contesti sportivi) sia a prestazioni scolastiche o sportive.

Dall’analisi delle situazioni che elicitano le emozioni emerge la dimensione sociale e relazionale dell’esperienza emotiva, in quanto, soprattutto rispetto alle emozioni positive, i contesti nei quali queste vengono sperimentate sono rappresentati soprattutto dai luoghi di ritrovo, dalla scuola e anche dalla famiglia; la tristezza invece viene spesso vissuta individualmente, e nelle fasi avanzate dell’adolescenza viene riferita con più frequenza in relazione a vissuti di perdita e delusione. Altri studi (Barone, 2007) hanno confrontato attribuzioni di significato alle emozioni di campioni normativi e adolescenti a rischio: entrambi i gruppi hanno manifestato difficoltà nel verbalizzare la vergogna e la colpa, mentre le differenze riguardano gli ambiti dell’esperienza che influenzano il vissuto emotivo. Mentre per il campione normativo è importante la dimensione del successo/fallimento nel raggiungere obiettivi, i ragazzi a rischio mettono al centro l’esperienza del subire ingiustizie e torti. Man mano che l’adolescente si avvicina all’età adulta il suo vocabolario emotivo si fa più dettagliato, e le descrizioni delle emozioni risultano meno ancorate all’azione e ai correlati comportamentali per focalizzarsi sugli aspetti interni. Per quanto riguarda le differenze tra maschi e femmine, in letteratura si evidenzia come le donne riferiscano più emozioni dei maschi e siano più propense a parlare delle proprie esperienze, ma è vero anche che i maschi hanno atteggiamenti diversi, rispetto al parlare delle emozioni e delle esperienze personali, a seconda del partner conversazionale. Queste differenze di genere derivano certamente dal modo in cui i bambini vengono socializzati alla comprensione delle emozioni nell’ambito delle prime interazioni con i genitori. Numerosi lavori che hanno studiato il modo in cui le madri parlano con i loro bambini di esperienze emotive hanno mostrato che il comportamento delle madri nei confronti delle figlie femmine è qualitativamente diverso da quello adottato nelle interazioni con i figli maschi. Secondo Fivush (1994), infatti, la cornice all’interno della quale hanno luogo le conversazioni sulle emozioni tra madri e figlie è di tipo “socio- relazionale”, e in essa le emozioni vengono descritte come legate alle persone e l’esperienza emotiva viene collocata nel contesto sociale e relazionale; le conversazioni madre-figlio avvengono invece all’interno di una cornice definita di tipo “autonomo”, nella quale le emozioni sono relazionate con gli oggetti del mondo fisico e l’esperienza emotiva viene concepita come un fatto privato. Inoltre, le madri parlano maggiormente di emozioni con le figlie, e impiegano un lessico più vario.

Dolores Rollo
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