Chi ha paura degli Invalsi?

All'esame di Stato di Terza media tra le prove scritte da qualche anno ci sono anche i test Invalsi. Croce e delizia di studenti, insegnanti e genitori. Presto anche alla maturità.

Professori, non pensate solo al test

17/06/2013

La vita è tutta un quiz cantava Nino Frassica al tempo di Indietro tutta. Chissà se immaginava di dire qualcosa di profetico. Che la vita degli studenti del 2013 sia tutta un quiz pare, comunque, oramai innegabile: si è cominciato giusto al tempo di indietro tutta con i test d’ingresso alle prime facoltà universitarie a numero chiuso, per arrivare all’oggi, in cui la vita scolastica di ogni ordine e grado è punteggiata dalle scadenze periodiche del test Invalsi.

Il principio è logico e meritorio: un sistema esterno uguale per tutti
che valuti gli studenti secondo uno standard simile a quello delle valutazioni internazionali, come il Pisa-Ocse per intenderci, utile a capire a che punto si sta, che cosa funziona e che cosa no. Un monitoraggio dell’efficacia del sistema-scuola che dovrebbe servire a mettere a punto correttivi per i punti deboli e a consolidare i punti di forza.

Al di là delle critiche che si possono muovere al test come metodo, che pure hanno un fondamento, per esempio nel fatto che funziona bene se si tratta di valutare nozioni un po’ meno se si tratta di monitorare il senso critico, il rischio è scatti l’asia da prestazione. Accade infatti che al dirigente scolastico interessi il buon nome della scuola, all’insegnante il successo del proprio lavoro, al genitore la buona riuscita del proprio pargolo.

In teoria tutto bene: tendono tutti al fine comune
. In pratica però sta avanzando il pericolo che il test diventi il fine e non il mezzo con cui prendere atto di quel che funziona o non funziona. E infatti corre voce che stia prendendo piede l’abitudine di somministrare agli studenti dosi massicce di test simil-Invalsi per allenarli. 

Col rischio di dedicare alla simulazione del test le ore di studio e di scuola che andrebbero dedicate ai contenuti che il test dovrebbe valutare. Un po’ come se un istruttore di guida facesse ripetere decine di volte al suo allievo un percorso che sappia essere simile a quello dell’esame, preoccupandosi più del buon esito dell’esame che della reale capacità di affrontare gli incerti del traffico. Un po’ come quelli che si mettono a dieta prima delle analisi, sperando di schivare il rimprovero del medico. Come se il fine fosse il passaggio critico della valutazione e non, invece, la realtà con cui ci si confronta dopo.

                                                                                                                                  Elisa Chiari

Orsola Vetri (a cura di)
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