Quando il bullo viaggia in Rete

In cronaca sempre più numerosi i casi di ragazzi vittime di persecuzione attraverso il web. Sul banco degli imputati i Social Network che possono diventare armi pericolose.

Alessandra Carenzio: «La Rete è strumento ma non causa di bullismo»

14/06/2013

I giovani e il loro rapporto con i social network è un tema che interroga e impone una riflessione per capire dove finisce l’opportunità del web e inizia il lato oscuro della rete. «I ragazzi semplicemente – spiega Alessandra Carenzio ricercatore del CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’informazione e alla Tecnologia) – utilizzano gli spazi di relazione che hanno. Così prima era messenger, soppiantato da Facebook, il social più utilizzato in assoluto. E Twitter, ancora in ombra in Italia se non per seguire i propri idoli. Perché FB ha così successo? Perchè è uno spazio di relazione sociale, il modo oggi di stare con gli amici, là dove crearti un’immagine costruttiva».

I social quindi come possibilità di "allargare il giro", come nuova piazza virtuale. Non vede il rischio che “moltiplicatori”, lo diventino anche in negativo? «No, non vedo nei social la nuova frontiera del bullismo. La rete è uno strumento, la vetrina in cui si agiscono alcuni comportamenti ma non ne è la causa. E’ il luogo dove si esasperano situazioni già esistenti in un contesto di presenza. I ragazzi stessi ammettono che la difficoltà nasce sempre dalla relazione e poi semmai sfoga nella rete. Non molto diverso dal bucare le ruote di una bici o rubare qualcosa dallo zaino».

Non trova Alessandra Carenzio che l’accanimento virtuale faccia male più di quello frontale. «No, è solo più pubblico perché avviene in un’arena, la rete, dalla forte identità sociale». Come si combatte quindi il rischio che il web diventi megafono delle malelingue e dello scherno? «Educando digitalmente i ragazzi ad essere responsabili e attivi. Solo così lo stesso gesto provocatorio passa in sordina o addirittura si ritorce contro chi lo fa perché interpretato come sciocco e segno di debolezza. E spegnere il pc? Non serve. Bisogna accenderlo insieme. Soprattutto adesso che i social sono sempre più frequentati dai giovanissimi, anche sotto i 13 anni, come restituito dagli incontri nelle scuole. Genitori, professori e fratelli devono dare il buon esempio. Evitando di ficcare il naso nei fatti privati, educando a ritrovare il piacere della riservatezza, il rispetto della propria persona e dell’altro». Esiste quindi un uso sano? «Certo, è quello in cui non ci si vergogna e ci si diverte con intelligenza. Quello in cui si sfrutta il mezzo invece di subirlo».

                                                                                               Chiara Pelizzoni

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