Crisi, la famiglia paga per tutti

Un convegno promosso da Famiglia Cristiana e Centromarca ha affrontato, con il ministro Riccardi, il difficile equilibrio tra rigore, sviluppo ed equità.

La sintesi della ricerca

19/10/2012

Veniamo ai risultati della Ricerca promossa da Famiglia Cristiana e centromarca, presentati da Fedele De Novellis di Ref  Ricerche. Per capire la situazione attuale occorre risalire a quanto è accaduto a partire dal 2008-9, il tempo della prima grande crisi, che ha fatto registrare una contrazione dei consumi del 5% (rispetto al 2-3% del 2012). Il motivo? Semplice, i suoi effetti negativi, moltiplicati dal complicarsi della situazione internazionale, sono stati ribaltati man mano nel tempo ai diversi soggetti della catena sociale fino ad arrivare nel 2012 all’ultimo anello, le famiglie. E lì restarci. Una sorta di perverso effetto domino, che ha visto la crisi (iniziata con il crollo dei subprime americani) scaricarsi prima sui Paesi produttori di idrocarburi – con abbassamento dei prezzi a causa del calo della domanda e quindi relativo vantaggio per le famiglie – e, in un secondo tempo, sul bilancio dello Stato a causa dell’entrata in azione automatica degli ammortizzatori sociali a causa dei primi effetti del calo dell’occupazione. L’esito è stato un brusco calo dell’avanzo primario (fino ad annullarlo e poi a renderlo negativo), con conseguente aumento  del debito pubblico. L’aumento delle tasse a questo punto è stato automatico e ha colpito aziende (costo del lavoro) e famiglie (Imu, Iva, etc.). Le conseguenze sulle aziende sono state pesanti, colpite soprattutto dal grave calo dei consumi: queste si sono prima viste erodere i margini di profitto, poi, costrette dalla situazione, sono entrate nella carne viva e hanno proceduto a razionalizzazioni, che non hanno risparmiato tagli della produzione e del personale. Il conto in questi ultimi mesi è stato presentato, e con gli interessi, alle famiglie, l’ultimo anello di ogni aggregazione sociale.

Una miscela esplosiva – disoccupazione, aumento del carico fiscale e delle accise, blocco delle assunzioni e dei salari dei dipendenti pubblici, inflazione, calo della produttività – che sta mettendo in grossa sofferenza il corpo sociale e i cui effetti si stimano pari a una manovra fiscale pari a 105 miliardi. Un colpo terribile, che non farà mancare i suoi effetti anche nei mesi prossimi. Anzi, il 2013, se possibile, sarà ancora peggiore. E l’Istat, che assottiglia sempre di più la soglia di reddito minima di povertà, fa registrare un aumento dei poveri in Italia. Le famiglie da parte loro, che si mostrano molto elastiche rispetto alla congiuntura, devono arrangiarsi come possono riducendo o azzerando l’acquisto di beni durevoli, diminuendo la qualità dei prodotti di largo consumo fino, nei casi più gravi ma ormai sempre più numerosi, a ridurre persino i beni essenziali. Insomma, si sta entrando nella carne viva. A peggiorare le cose c’è un altro fattore, che deprime ulteriormente i consumi: nella prima fase della crisi le famiglie non hanno abbassato il tenore di vita a prezzo di una riduzione della propensione al risparmio e, talvolta, addirittura in una erosione dei risparmi stessi (quando non dell’indebitamento). Nell’attuale congiuntura, invece, («l’anno della consapevolezza» secondo De Novellis) il pessimismo diffuso da un lato e l’incertezza del futuro dei figli hanno aumentato la propensione al risparmio, deprimendo quindi ulteriormente i consumi. Una somma di effetti a catena che stanno mettendo in ginocchio l’Italia, con la spada di Damocle, oltretutto, delle elezioni ormai prossime e del fiato sul collo degli altri paesi europei.

Si verificano poi altri due fenomeni tipici di tempi come quelli che stiamo vivendo. Venendo a mancare o riducendosi il reddito del capofamiglia (per licenziamento, cassa integrazione, mobilità), per compensare il buco gli altri componenti della famiglia si gettano nel mondo del lavoro, aumentando sensibilmente la quota di persone alla ricerca di occupazione, che oggi secondo stime attendibili si attesta sui 5-6 milioni di persone. L’altro fenomeno è conosciuto come ”fuga dei cervelli” all’estero. Il Paese investe molto sulla formazione di migliaia di giovani che poi vanno a ingrossare le fila dei manager e specialisti in Europa, sottraendo un potenziale umano enorme di cui in futuro dovremo pagare il conto.

Stefano Stimamiglio
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