27/01/2011
I cinquecento ragazzi arrivati ad Auschwitz con il "treno della memoria" organizzato dalla Regione Toscana.
«Il nostro primo film è stato Pinocchio, che io non ho visto perché mi faceva paura». E questo il primo ricordo di Andra Bucci dopo la prigionia nel campo di Auschwitz, quando rifugiata a Londra insieme alla sorella Andra scoprì di nuovo cosa significava vivere da bambini, dopo gli orrori dei campi di concentramento.
E la testimonianza degli ex deportati a rendere vivo l’orrore dei campi di Auschwitz e Birkenau. Le loro lacrime, nel ricordare con sacrificio quei terribili momenti, sono la prova più diretta per i 500 studenti delle scuole che sono partiti con il treno della memoria della Regione Toscana. Un viaggio fino a Cracovia, per vedere con i propri occhi i luoghi dell’orrore dove furono deportati 6,5 milioni di ebrei, oltre ai deportati per le più varie ragioni: politiche, religiose, perché disabili, prigionieri di guerra, omosessuali.
Sul braccio delle sorelle Bucci c’è ancora il numero di matricola che i nazisti fecero su queste bambine di 4 e 7 anni, marchiate dal triangolo giallo perché di madre ebraica. Diversa, ma altrettanto tragica, la storia di Marcello Martini preso dai nazisti vicino Prato perché figlio di un membro del Comitato di liberazione nazionale: 14enne, Martini fu catturato e, con la madre e la sorella, deportato a Mathausen, inconsapevole di quale fosse il significato dei segnali in codice che era incaricato di ascoltare alla radio clandestina.
Il treno della memoria, organizzato dalla Regione Toscana per le scuole e a cui ha partecipato anche il presidente Enrico Rossi, è nato per riflettere su ciò che accade oggi: “contro ogni razzismo, per i rom e sinti vittime dell’olocausto” è stato scelto come tema per questo giorno della memoria. Alla partenza dalla stazione di Santa Maria Novella a Firenze i ragazzi sono sorridenti, come se partissero per una gita: dopo venti ore di treno e il freddo della neve gli studenti non sono meno allegri.
Ma appena arrivati davanti alla porta della morte, al campo di Birkenau, le facce diventano immediatamente tristi. E non può essere altrimenti davanti al grande silenzio di un campo grande 750 ettari, circondato solo da filo spinato. Qui arrivavano i carri bestiame: subito la selezione, tra chi andava ai campi di lavoro forzato e chi subito nelle camere a gas e nei forni crematori. Per non dimenticare le vittime dell’olocausto ogni studente ha letto il nome di una delle vittime italiane.
Per chi è rimasto vittima del dramma della deportazione anche tre preghiere: una cattolica, una musulmana e una ebraica recitata dai rappresentanti delle diverse comunità. Nelle preghiere soprattutto una speranza: mai più, che ciò che i campi testimoniano possa essere un monito per il futuro, perché l’indifferenza di allora non si ripeta davanti alle tragedie di oggi.
Una storia drammatica, come quella testimoniata anche dal campo principale, quello di Auschwitz 1, dove sotto la scritta “Arbehit macht frei” sul canello d’entrata” qualcuno ha lasciato un fiore e un numero di matricola: quello di una delle migliaia di vittime dei nazisti. Qui la visita al museo, dove sono conservate le fotografie dei primi deportati, in gran parte giovani polacchi arrestati, le valigie, gli occhiali, i vestiti, gli affetti personali di coloro che arrivati al campo venivano privati di tutto, dai beni materiali alla dignità.
«Quello che avete visto è solo un piccolo spiraglio – ricorda Martini ai ragazzi - erano 1632 campi di eliminazione nazisti e se oggi, giorno della memoria, si celebra l’anniversario della liberazione di Auschwitz, non dobbiamo dimenticare che in questi stessi giorni, fino al 5 maggio a Mathausen erano ancora in funzione camere a gas e crematori».
Tutto nell’indifferenza generale.
Eleonora Della Ratta