26/07/2012
(Reuters)
Un altro giro sull’ottovolante. Le borse a picco e lo spread alle stelle, tutti a gridare "al fuoco" e poi la borsa chiude positiva, con un rialzo che continua il giorno seguente. Anche lo spread prima fa paura e poi riscende, quando poco prima appariva imminente l’apocalisse. Intendiamoci, il livello dello spread, cioè della differenza fra tassi italiani e tedeschi sui titoli di stato rimane alta, eccessiva. Ma durante la corsa sull’ottovolante non è cambiato nulla che passa giustificare l’altalena. E allora? Allora forse occorre una riflessione su come ci raccontiamo quello che accade.
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Esistono alcuni elementi oggettivi nelle dinamiche di mercato che determinano questi cicli di ribassi e rialzi. Di fronte alla possibilità di presentare un'immagine di vulnerabilità, soprattutto politica, gli speculatori vendono titoli per indurre il grosso degli operatori e risparmiatori a vendere (i cosiddetti followers, che "seguono" appunto il comportamento dei leader del mercato). Le vendite fanno scendere i corsi, cioè i prezzi dei titoli, e quando questi sono scesi a sufficienza, gli speculatori riprendono a comprare, guadagnando sulla differenza. Con lo stesso ammontare, cioè, ora possono acquistare un volume di titoli (il cui prezzo è sceso) più grande. Gli acquisti spingono di nuovo verso l’alto il corso dei titoli (ecco l’altalena!) e chi è stato sagace (e rapido) si ritrova con un numero maggiore di titoli, ognuno dei quali vale di più.
Gli speculatori (ma tutti gli operatori principali da questo punto di vista sono speculatori) possono fare questo anche senza disporre dei titoli da vendere all’inizio del ciclo: vendere titoli che non posseggono ancora e che consegneranno in futuro, nell’attesa di procurarseli. Si chiamano "vendite allo scoperto". Chi prevede di potersi procurare un titolo a un prezzo inferiore a quello corrente oggi, lo vende allo scoperto (cioè s'impegna oggi con un qualsiasi compratore a una vendita al prezzo attuale in una data futura), attende la discesa del prezzo per acquistare e perfeziona la vendita alla scadenza. Ovviamente chi acquista allo scoperto fa una scommessa opposta a chi vende: stima che i prezzi saliranno. O più semplicemente (questo è oggi il caso probabilmente più frequente) ritiene che il prezzo attuale sia soddisfacente per i propri criteri e finalità di investimento. Molti risparmiatori e molti gestori di fondi, infatti, seguono ‘profili di rischio’ più prudenti e preferenze poco speculative, privilegiano portafogli relativamente sicuri, vale a dire preferiscono detenere titoli che garantiscano un reddito fisso, come quelli di Stato.
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È uno scandalo che questo "gioco" avvenga? Vendite e acquisti allo scoperto sono sempre esistiti e si sviluppano dove c’è più volatilità, cioè dove c’è più probabilità che i prezzi possano variare. Il gioco della speculazione fa guadagnare, e molto, chi lo pratica, profitta delle lentezze, delle paure e delle vulnerabilità altrui, ma nel suo ripetersi normalmente determina una riduzione della volatilità. Più viene giocato e più riduce gli spazi per il suo gioco. Un po’ perché l’ennesima volta che si grida al fuoco o al lupo la gente non ci crede più e non vende, ma soprattutto perché il movimento stesso di riacquisti riporta ai prezzi precedenti sempre più in fretta. Le prime ondate sono enormi (e procurano immensi guadagni, si pensi a chi ha comprato lucidamente durante il crollo delle Borse del settembre 2008), successivamente abbiamo cicli brevi che durano una mattinata, come quelli di questi giorni. Oggi il mercato dei titoli di Stato è quello con la maggiore variabilità dei prezzi ed ecco perché oggi gli speculatori lo hanno preso di mira. E’ quello che con la sua volatilità permette i guadagni maggiori.
Nulla è mai certo, per questo si chiama speculazione. Nulla garantisce che i titoli su cui gli speculatori giocano effettivamente risaliranno (chi nel settembre 2008 ha comprato Lehman Brothers ha perso tutto), ma se le scelte sono giuste, se la scommessa è buona, i risultati sono consistenti. Per questa ragione ci si orienta verso titoli che offrano una sicurezza di fondo. E proprio da questo punto di vista i titoli di Stato sono perfetti. I trucchi di bilancio greci, la vulnerabilità delle banche spagnole e irlandesi, la allegria della spesa pubblica italiana – realtà o cliché importa poco – sono ottimi ingredienti per costruire immagini di debolezza, per diffondere il dubbio che i Governi che li hanno emessi potrebbero non riuscire a pagarli. Questa paura rende molto più nervose le reazioni degli operatori che vendono in fretta appena si diffonde una notizia negativa, adeguatamente amplificata. O anche solo un dubbio per il futuro, come il passaggio da stabile a negativo della stima sulle prospettive per il futuro sull’economia tedesca diffuso da Moody’s nella previsione di fine luglio: una manna per gli speculatori che possono avviare il loro gioco. In questo caso, inoltre, non si guadagna solo sulla differenza tra i corsi dei titoli, ma ci si procurano titoli a basso valore di acquisto che pagano cedole fisse. Questo significa che il capitale investito viene remunerato con rendimenti in proporzione molto più alti di quelli ottenibili con altri investimenti.
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Ma il messaggio che va letto, allora, è che gli speculatori, che godono delle cattive notizie e del diffondersi della sfiducia, hanno invece considerevole fiducia sulle capacità di pagare da parte degli Stati e del sistema Europa. Ecco la seconda ragione per cui c’è speculazione in questo mercato. Si specula sui titoli di Stato perché si è convinti che verranno pagati. E si continuerà il gioco finché l’Europa non si doterà degli strumenti tanto adeguati per garantire i pagamenti (la mutualizzazione, cioè garantire come comunità per i singoli, gli eurobonds, l’unità fiscale…) da rendere non più credibili le grida allarmistiche. Per quanto il mondo sia pieno di irresponsabili (e, ce lo si lasci dire, quello finanziario non è da meno) dopo la batosta del 2008 i grandi operatori finanziari non hanno perso la spregiudicatezza, ma sono molto più attenti ad evitare di tirare troppo la corda. Per essere chiari: un "fallimento" dell’Europa non interessa nessuno. Determinerebbe immense perdite anche per gli speculatori: il loro interesse è giocare sino al punto di massimo guadagno.
Paradossalmente, insomma, la speculazione sui titoli pubblici è un segnale di fiducia. Ma se è così, se c’è fiducia che il sistema pagherà e non salterà, perché dobbiamo farci prendere dalla paura noi? Perché ogni notizia dev'essere ripetuta enfatizzandola, aumentando i toni? Si badi bene questo è un gioco che fa guadagnare alcuni (e molto) e impoverire l’intera comunità: più si diffonde l’immagine di rischio, più salgono i tassi di interesse promessi per i titoli di nuova emissione per renderli appetibili, e più sale di conseguenza la componente relativa al pagamento degli interessi nella spesa pubblica. E’ una voce che non si può non pagare, se aumenta occorre stringere da qualche altra parte: sulle pensioni, sulla spesa scolastica, su quella sanitaria… Che sia un’occasione per sanare storture e sprechi bene, ma se questo significa (come sta accadendo) che sottraiamo risorse - ad esempio alla scuola e all’università, cioè al futuro dei nostri figli - beh… chiediamoci se è davvero quello che vogliamo.
Oscar Giannino, ospite della trasmissione di Raidue condotta da Gianluigi Paragone, "L'ultima parola" (Ansa).
Si rende conto la nostra stampa che aumentare ogni volta l’enfasi delle notizie negative, gridare i titoli del telegiornale, usare formule sempre più allarmistiche (e trite) nell’illusione di vendere di più nella competizione con le altre testate, fa soltanto il gioco della speculazione (e di conseguenza quello di strozzare la spesa pubblica)? Abbiamo il coraggio di avviare una riflessione seria su come facciamo informazione su questi temi? Nessuno vuole che le notizie vengano nascoste, ma un conto è presentare e spiegare, un conto è gridare pensando solo alla pancia dei lettori. C’è qui una responsabilità propria dei lettori a filtrare, ma ve n’è una più grande di chi le notizie racconta, trasmette e presenta. È possibile ragionare serenamente sulle responsabilità di un certo modo di fare informazione, che grida, chiama “governatori” i presidenti, definisce il caldo sempre “africano”, o parla di “seconda repubblica” quando non c’è stata modifica costituzionale?
Il ruolo della stampa dev'essere informare con uno speciale senso di responsabilità verso i lettori, che nella società diventa contributo educativo e politico: fa crescere e favorisce un cambiamento. O vogliamo continuare a fare gli utili idioti?
Riccardo Moro, economista, docente di Poliche dello sviluppo alla Statale di Milano