25/12/2011
Giorgio Bocca (1920-2011).
Dopo la morte di Indro Montanelli ed Enzo Biagi, Giorgio Bocca, scomparso il giorno di Natale a 91 anni, dopo una vita sazia di giorni e innumerevoli articoli, era il giornalista più conosciuto del Paese, il cronista d’Italia per antonomasia. Dalla Gazzetta del Popolo al Giorno fino all’Europeo e a Repubblica, ha sempre fatto l’inviato speciale, che è la quintessenza del mestieraccio. Non ha mai scalato i ranghi delle redazioni, non è mai stato un direttore, come ad esempio lo sono stati Montanelli, Biagi o Scalfari. Era l’occhio e la penna allo stato puro. I suoi libri, oltre 50, spaziano dall'attualità politica e dall'analisi socioeconomica all'approfondimento storico e storiografico, senza mai dimenticare la sua esperienza partigiana come cardine della sua autobiografia.
Bocca non era amato solo dai suoi numerosi lettori. Anche gli stessi giornalisti italiani, di solito poco inclini ad elogiare i colleghi, lo celebravano e ne ammiravano la scrittura netta e profonda, capace di scalare qualunque argomento oscuro per trasformarlo in prosa limpida e chiara, ancocché lucida e amara. La ricerca della verità accompagnata dal rigore analitico, la conoscenza della storia, una forte passione civile, uno stile fatto di sintesi e chiarezza e fortemente segnato da un carattere ruvido. Bocca era tutto questo: un mix di disciplina sabauda, curiosità e vis polemica. Un sabaudo geneticamente modificato, potremmo dire, poiché gli ultimi due valori, così importanti per un giornalista, non fanno certo parte del carattere sabaudo per antonomasia.
”I giornalisti della mia generazione", aveva sottolineato in una delle sue ultime apparizioni in Tv, “erano mossi da un motivo etico: ci eravamo messi tragedie alle spalle, perciò il nostro era un giornalismo abbastanza serio. Oggi la verità non interessa più a nessuno e l’editoria è sempre più al servizio della pubblicità”. Sono state certamente le inchieste la sua specialità giornalistica. Nel 1976 fu tra i fondatori, con Eugenio Scalfari, del quotidiano la Repubblica, con cui aveva continuato a collaborare fino all’ultimo giorno della sua vita.
I suoi libri possono distinguersi in tre filoni: l’attualità politica e l’analisi socioeconomica, l’approfondimento storico e storiografico, la memorialistica autobiografica, come l’affascinante e profondissimo “Le mie Montagne”, spesso intrecciato ai ricordi della Resistenza, in cui militò come comandante partigiano. Venti mesi che tornano continuamente nelle interviste e nei ricordi. Il suo capolavoro resta Il Provinciale, (edito da Mondadori), una sintesi dei tre filoni, dove i ricordi di una vita di giornalista di successo si intrecciano alla storia recente del nostro Paese, con lucidissimi affreschi di epoche recenti e fulminei ritratti dei protagonisti del nostro tempo. Un’unica e appassionata autobiografia degli italiani, raccontata da un antitaliano.
Francesco Anfossi