07/10/2010
Mara Tognetti, docente di Politiche dell'immigrazione all'Università Bicocca di Milano.
Nosheen, vent'anni, non accettava a nessun costo il matrimonio combinato con un cugino più vecchio, pakistano come lei. Nosheen viveva a Novi, in provincia di Modena, portava il velo ma aveva strappato al padre il permesso di frequentare le scuole superiori. Però quel padre, Ahmad Khan Butt, operaio di 53 anni, ha ucciso a colpi di mattone la moglie Begum Shanaz perché difendeva la figlia nel suo rifiuto, mentre un altro figlio, Humair, colpiva a sprangate Nosheen. La ragazza è in gravi condizioni in ospedale.
Sua madre è morta al posto suo, e questa è l'unica differenza dai casi di Hina Saleem, pachistana, uccisa dal padre nel 2006, e da Sanaa Dafani, 18 anni, marocchina, assassinata dal genitore sempre per lo stesso motivo: il voler scegliere chi amare e sposare.
Sono soltanto casi di cronaca o rivelano una realtà drammaticamente più ampia? Lo chiediamo a Mara Tognetti, docente di Politiche dell'immigrazione all'Università Bicocca di Milano; presso Utet sta per uscire un suo libro, Famiglie ricongiunte, del quale una parte è dedicata proprio alle adolescenti figlie dell'immigrazione.
"Non sono solo casi di cronaca", precisa la sociologa Tognetti. "Quest'ultimo fatto, poi, ci può rivelare diverse cose. Innanzi tutto, che c'è una differenza nel progetto di vita tra genitori immigrati e figli presenti sul nostro territorio. La differenza è maggiore se i figli crescono qui e apprendono le regole di qui: scoprono che esistono la libertà, l'autonomia e la libera scelta"
"Il caso di Modena ci dice un'altra cosa molto importante, cioè che le donne cominciano a mettere in discussione regole finora non discusse.E' la prima volta in cui la madre prende le difese della figlia, al punto tale da essere poi l'unica uccisa. Un aspetto importante, perché ci fa pensare che forse è possibile introdurre cambiamenti non solo nelle nuove generazioni, ma anche in quelle precedenti"
Quanto è grande il problema dei matrimoni combinati?
"E' ampio e crescerà: quando avremo sempre più ragazze che crescono qua diventerà esplosivo, specie se noi non lavoriamo perché le famiglie (in particolare le ragazze ma anche gli stessi maschi) abbiano spazi di libertà di scelta".
Da una vostra ricerca dell'università Bicocca, è emerso che durante l'adolescenza aumenta la segregazione, specie per le ragazze di origine pakistana.
"Certo, ma anche tra ragazze indiane, con casi anche tra ragazze marocchine. Episodi come quello di Novi sono solo la punta dell'iceberg, perché ci sono altre forme di violenza che vengono esercitate sulle figlie, nei gruppi più impermeabili al contesto. Ci sono molte situazioni nelle quali le ragazze non vengono pestate, non vengono uccise, ma sono prese e fatte rientrare nel Paese di origine per sposare persone scelte dai maschi della famiglia".
Cosa si può fare per accelerare un cambio di mentalità in comunità chiuse?
"Innanzi tutto, lavorare con la comunità, con il gruppo. Soprattutto, lavorare con le ragazze, quindi attrezzare servizi, attivare linee telefoniche dedicate a questa questione, creare luoghi dove possano esplicitare i loro problemi e preoccupazioni. Però vanno sostenute nel complesso le famiglie, non solo trovando spazi per le madri e le donne che hanno potenzialità di apertura, ma anche sostenendo i padri, con molta attività di sensibilizzazione sul gruppo".
Rosanna Biffi