Rosso Afghanistan, calvario infinito

Barbara De Anna, gravemente ferita nell'attacco talebano a Kabul, il 24 maggio, ha una lunga esperienza all'Onu: dal 2010 ha operato a Herat, dal 2011 è nella capitale.

Barbara De Anna e gli altri: i 7.000 italiani in prima linea, disarmati

25/05/2013
Barbara De Anna. Foto Ansa.
Barbara De Anna. Foto Ansa.

Il gravissimo attentato di venerdì 24 maggio a Kabul riporta drammaticamente alla ribalta la situazione in Afganistan dove guerra e terrorismo si contendono da decenni il potere. Dopo il calo prevedibile di notizie scalzate dalle prime pagine da nuovi contesti di violenza in altre parti del mondo, l’ansia per le sorti di Barbara De Anna, la quarantenne fiorentina che lavora per l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, rimasta coinvolta nell’attentato suicida al City Center della capitale afgana, ennesima vittima italiana di questo conflitto, tornano a riproporre la crudeltà, la brutalità e l’insensatezza che fin dall’inizio hanno contraddistinto questo calvario senza fine.

In molti abbiamo implorato i governanti perché non si ripercorressero gli errori già visti in altre realtà che hanno sacrificato vite umane innocenti tra militari e civili inermi senza mai aver portato a soluzioni durature e senza mai aver definitivamente sconfitto la piaga del terrorismo. In molti abbiamo chiesto a gran voce che l’Italia restasse fuori da questa ennesima risposta armata data dalla comunità internazionale prima di aver esplorato sino in fondo e con tutti i mezzi a disposizione altre vie pacifiche, diplomatiche e politiche e dopo aver riempito di armi e munizioni le caserme e i campi di addestramento delle varie fazioni delle milizie locali. Lo abbiamo fatto, e ancora oggi continuiamo a farlo, convinti che solo lo sradicamento della povertà, l’affrancamento dei diritti umani e il rafforzamento dei moltissimi soggetti “buoni” delle popolazioni locali possono combattere alle radici i fondamentalismi, gli ideologismi e gli estremismi che nutrono e alimentano le teorie e le forze terroristiche.

In altre parole, è indispensabile, prioritario e inderogabile fare della cooperazione e della solidarietà internazionali le armi dispiegate in tutta potenza e in tutto il mondo per costruire un futuro di convivenza pacifica e di vita dignitosa per tutti: per i miliardi di poveri della terra sempre più sprofondati nel fango della miseria e dell’impoverimento e per noi pochi privilegiati sempre più arroccati dentro le nostre fortezze di ricchezza continuamente violate e ormai definitivamente insicure. In questa convinzione, fortunatamente, non si è in pochi. Molti italiani si sono in più modi espressi in questa direzione e, soprattutto, oltre 7.000 nostri concittadini hanno deciso di dedicare un pezzo della loro vita a questa causa. Sono i volontari, i cooperanti e i missionari laici italiani che per pochi mesi o per lunghi anni le 250 associazioni cui fanno riferimento hanno inviato al fianco delle popolazioni povere dei Sud del mondo per appoggiare i loro sforzi di affrancamento dalla miseria e di avvio verso uno sviluppo più umano e una vita più dignitosa.

Barbara De Anna. Foto Ansa.
Barbara De Anna. Foto Ansa.

La maggior parte di loro, a testimoniare l’evangelica scelta privilegiata dei più poveri, svolgono il loro servizio in Africa dove le condizioni di vita restano le più dure: circa il 56% di loro, infatti, sta lavorando in questo continente a fronte di un 18% presente in America Latina e dei restanti equamente suddivisi tra Asia e Paesi dell’Europa dell’Est. Sono il vero contingente di pace schierato dall’Italia all’estero che con tenacia, sacrificio e lavoro quotidiano per lo più silenzioso combattono efficacemente le cause e le radici della follia terroristica e della pazzia di ogni fondamentalismo; sono la testimonianza vissuta delle relazioni possibili tra culture, fedi e religioni diverse che sconfessa con l’evidenza dei fatti chi ancora va predicando violenza, xenofobia e repressione. 

Questa forza vitale del nostro Paese, andrebbe sostenuta e incoraggiata con una determinazione ben superiore a quella dimostrata dai Governi succedutisi negli ultimi decenni.Solo 360, poco più del 5% del totale dei volontari e cooperanti in servizio, godono oggi dei benefici previsti dallo Stato ai sensi della legge vigente in materia di cooperazione internazionale; e solo 230 milioni di Euro, un misero 0,12% del PIL a fronte dell’obiettivo ONU dello 0,7%, sono le risorse investite dall’Italia nelle attività di cooperazione allo sviluppo. La grave congiuntura economica e la crisi di sviluppo che attanagliano il nostro Paese e l’Europa non bastano a giustificare un simile disimpegno.

E’ una convinzione che vogliamo trasmettere sin dall’inizio del suo mandato all’onorevole Lapo Pistelli, da pochi giorni delegato dalla Ministro degli Esteri Emma Bonino a seguire le attività della nostra cooperazione internazionale, convinti che il Vice Ministro Pistelli ha tutte le carte in regola per poter cogliere una sfida così difficile. Il rango a lui assegnato nel Governo Letta, la forza dell’appartenenza al maggior partito di governo e le sue competenze personali si dovranno misurare con le resistenze dei responsabili della spesa pubblica nazionale, l’opposizione di qualche forza politica e l’indifferenza di alcuni concittadini, ma dalla sua avrà i moltissimi italiani consapevoli della indispensabilità di trovare una soluzione condivisa tra tutti che sarà possibile solo quando tutti potranno vivere e scegliere in piena dignità.   

Sergio Marelli,
 esperto di cooperazione e
 di rapporti internazionali,
 Università di Bergamo

Dossier a cura di Alberto Chiara e Fulvio Scaglione
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Postato da martinporres il 09/06/2013 13:52

I talebani si vantano pubblicamente che a scagliare l’ordigno sia stato un ragazzino. Ma non è vero che non amino i loro figli: pensano che sia giusto farne degli assassini Ci tocca anche di venire a sapere dai comunicati, nel dolore, che i talebani sono molto fieri che sia stato un bambino di undici anni a scagliare l’ordigno che ha ucciso il Capitano Giuseppe De Rosa. L’orrore per l’uso dei bambini si unisce alla consapevolezza che De Rosa era là proprio per aiutare quel ragazzino. E noi che facciamo dei bambini una religione rabbrividiamo di fronte a tanto orrore.

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