Birmania: liberi di criticare Aung

Alle sue prime prove di democrazia, l'opinione pubblica della Birmania scopre di non essere sempre d'accordo con l'eroina nazionale. E intanto l'economia...

Il futuro è negli affari

01/03/2013

C'è chi la paragona alla Thailandia, chi la definisce la nuova Cina. Per chi fa affari, il Myanmar è certamente il futuro. Il più grande paese del Sud-est asiatico che dopo 50 anni di isolamento si apre agli investimenti occidentali. Una nazione popolata da quasi 60 milioni di persone in cui il costo del lavoro è ancora bassissimo, basti dire che il prodotto interno lordo pro-capite si aggira sui 1.300 dollari all'anno, contro gli oltre 30mila dollari dell'Italia. Una terra dove abbondano gas, petrolio, oro, rame, zinco, carbone, tungsteno, legname, rubini, zaffiri, giada.
Senza dimenticare le coste, in gran parte intatte, ideali per gli imprenditori del turismo. Per tutti questi motivi sulla Birmania si stanno concentrano le attenzioni di buona parte delle multinazionali, eccitate dall'idea di poter realizzare rapidi guadagni in uno Stato in cui fino a pochi mesi fa l'unica grande nazione a poter investire ufficialmente era la Cina. Lo dimostra il fatto che in pochi mesi hanno aperto filiali e avviato contatti per investimenti milionari già parecchie delle società occidentali più note al mondo: Visa, Mastercard, General Electric, Mitsubishi, Samsonite, Coca Cola, Pepsi, senza tralasciare giganti energetici come Chevron e Royal Dutch-Shell. Farà bene tutto questo afflusso di capitali alla popolazione birmana, di cui il 33% per cento (secondo i dati del governo locale) vive oggi in condizioni di povertà?
Di certo molti analisti descrivono il paese come il nuovo centro della manifattura a basso costo, in particolare per il settore tessile. Significa che tra qualche anno magliette, scarpe e pantaloni acquistati in mezzo mondo potrebbero recare l'etichetta “made in Myanmar”. Gli esperti dicono che per arrivare a questo punto bisognerà aspettare almeno qualche anno, il tempo necessario per sviluppare una rete infrastrutturale ed industriale adatta ad inserirsi nei ritmi frenetici della produzione globale. Sicuramente questo cambiamento epocale per la storia del paese ha un volto e un nome: Thein Sein, 67 anni, generale del regime militare che per anni ha guidato la nazione, ora presidente della Repubblica con indosso giacca e cravatta. In cambio della sua promessa di riforme democratiche, finora solo parzialmente attuate, gli Stati Uniti, seguiti a ruota dall'Unione europea, negli ultimi due anni hanno cancellato quasi tutte le sanzioni commerciali imposte in passato sui traffici commerciali con il Myanmar. Per questi motivi la Banca Mondiale, storicamente guidata dagli Usa, prevede un futuro economico brillante per il Paese: nell'anno finanziario 2012-2013 il prodotto interno lordo è previsto in crescita del 6,3%. Tassi simili a quelli cinesi. La cancellazione dell'embargo è stata accolta con favore anche dalla Lega nazionale per la democrazia, il partito guidato da Aung San Suu Ky: “Ora potremo assistere ad un reale cambiamento in Birmania.

La decisione degli Stati Uniti porterà benefici alla nazione e noi incentiveremo il governo ad usare questa ricchezza per aiutare il popolo birmano”, ha dichiarato Nyan Win, portavoce del partito. Le nuove leggi economiche volute dal presidente Thein Sein rappresentano una rottura netta con il passato isolazionista. Tra queste c'è quella che prevede la possibilità per gli stranieri di ottenere il completo controllo (99%) di società operanti in Myanmar, oltre che di ricevere terreni in concessione fino a 70 anni. Misure con cui il governo cerca di favorire l'arrivo di massicci investimenti dall'estero. I risultati, in questo caso, stanno già arrivando. A fine gennaio Banca Mondiale e Banca dello Sviluppo Asiatico (ADB) hanno approvato prestiti in favore del Myanmar per quasi 1 miliardo di dollari. “Il paese ha intrapreso una serie di riforme senza precedenti per migliorare la vita della sua gente, specialmente i più poveri e deboli”, ha dichiarato Annette Dixon, responsabile della Banca Mondiale per il Myanmar. Ma i prestiti non sono regali: vanno ripagati. Quelli da poco approvati dalle istituzioni finanziarie internazionali serviranno per creare fabbriche ed infrastrutture necessarie agli investitori che vogliono puntare sul Myanmar. Che queste risorse riescano alla fine a tornare nelle tasche della popolazione è ancora tutto da dimostrare. Il governo, qualsiasi sarà quello eletto nel 2015, dovrà approvare leggi che tutelino guadagni e diritti dei lavoratori. Altrimenti i profitti finiranno quasi interamente all'estero, nelle casse delle multinazionali che hanno usato lo stesso metodo già in diversi paesi del mondo negli ultimi decenni. E al Myanmar non resteranno che i debiti da ripagare.

Stefano Vergine
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