24/06/2012
Due ragazzi egiziani si abbracciano in spiaggia, incuranti di un manifesto elettorale di Mohammed Morsy, candidato vincente dei Fratelli Musulmani (Reuters).
La nascita del movimento dei Fratelli Musulmani risale alla
fase di complesso rimescolamento, ideologico e territoriale, che investì il
Medio Oriente negli anni successivi al tracollo dell’impero ottomano, avvenuto
nel 1918.
E fu proprio nel 1928 che Hassan al Banna, un insegnante di Ismailia, cittadina sulle rive del Canale
di Suez in Egitto, approfittò del fermento sociale e culturale del Paese per
promuovere il recupero dei valori tradizionali dell’islam in opposizione al
processo di occidentalizzazione che in quel periodo pareva dilagante.
In un modo che sarà poi caratteristico di tutta la storia
del movimento, Al Banna prese le mosse proprio dalle rivendicazioni dei
lavoratori egiziani impegnati lungo il Canale per sostenere la superiorità dei valori
islamici e la loro importanza per costruire una società basata sulla sobrietà
dei costumi e sulla solidarietà tra le classi sociali.
Il movimento accrebbe rapidamente il proprio seguito, seguendo
una duplice strategia: da un lato, la partecipazione alla vita politica, dall’altro
l’attività di base, anche a sfondo sociale, coagulata intorno alle moschee. In
pochi anni, le sue proposte per la rei-islamizzazione della società divennero un
fattore di primaria importanza nel nascente movimento nazionalista egiziano che
trovò poi compiuta espressione nella caduta della monarchia (1952), nell’ascesa
al potere del generale Nasser (1954) e nella crisi del Canale di Suez (1956).
Fu proprio Nasser, però, una volta sicuro del proprio
potere, a lanciare una vasta campagna di repressione contro i Fratelli Musulmani,
che con il loro attaccamento ai dettami dell’islam si opponevano alla
laicizzazione propugnata dal generale. Moltissime le vittime (secondo fonti
vicine al movimento, almeno 10 mila), in due diverse fasi: nella seconda,
seguita a un attentato fallito contro Nasser, fu impiccato anche
Sayyid Qutb,
uno dei massimi dirigenti del movimento e l’ispiratore delle sue posizioni più
estremistiche.
La sconfitta dell’Egitto nella Guerra dei Sei Giorni contro
Israele (1967) non solo indebolì il potere di Nasser ma favorì un rilancio dell’islam
e dell’islamismo in tutto l’Egitto. Nello stesso tempo, il “corpo” centrale dei
Fratelli Musulmani cominciò a prendere le distanze dalle idee di lotta armata
dei seguaci di Qutb. Anwar al Sadat, succeduto a Nasser nel 1970, cercò di
destreggiarsi tra due opposte esigenze: favorire i Fratelli musulmani (per
bloccare i movimenti studenteschi di
sinistra e per frenare i residui movimenti panarabisti) senza dar loro troppo
spazio. Una politica che, al contrario, finì per indebolire l’ala più “politica”
del movimento a favore di quella terroristica che, nel 1981, metterà a segno un
micidiale attentato contro Sadat.
L’ultimo Rais, Mubarak, come si è detto, nel 1984 legalizza
l’attività politica dei Fratelli Musulmani, rendendo però loro impossibile
qualunque possibilità di influire direttamente sulla situazione del Paese.
Unita a una serie di repressioni mirate (tutti gli attuali leader del
movimento, compreso il neo presidente
Morsy, sono stati in prigione), tiene per
anni a bada l’organizzazione, che lentamente rinasce però negli ultimi anni,
approfittando di due fattori: il declino del regime di Mubarak e la politica
più aggressiva degli Usa in Medio oriente, che fornisce un ottimo strumento di
propaganda. Le rivolte che scuotono il Maghreb, dalla Tunisia alla Libia e
appunto all’Egitto, forniscono l’occasione sperata per la decisiva scalata al
potere.
Fulvio Scaglione