Palestina, se la tregua non basta

Dopo la guerra di novembre, ora vige il "cessate il fuoco" con Israele. Ma i problemi restano: manca l'acqua, i pascoli, la libertà di movimento. La denuncia e l'azione di Oxfam Italia.

Quei bambini che disegnano ruspe e soldati

12/02/2013
Un membro della comunità beduina nella West Bank, in Palestina (Foto Siccardi-Sync).
Un membro della comunità beduina nella West Bank, in Palestina (Foto Siccardi-Sync).

Striscia di Gaza, Palestina

I bambini della piccola scuola materna del villaggio di Abu Nuar
, alle porte di Gerusalemme Est disegnano ruspe che abbattono gli olivi, soldati che controllano documenti, donne che piangono di là da una rete che porta la bandiera israeliana.

I disegni sono appesi alla parete dell’asilo comunitario. È stato realizzato da Oxfam Italia, in collaborazione con la comunità beduina che ci vive. Si trova in cima a una collina, da dove si vede tutta la corona di insediamenti dei coloni israeliani che ha circondato la parte orientale di Gerusalemme, quella che dovrebbe essere dei palestinesi.

«Oxfam Italia opera per aumentare e diversificare il reddito di queste famiglie», spiega Marco Ricci, responsabile del progetto. In questo caso, è stata incentivata una delle attività tradizionali delle donne beduine: il ricamo. I prodotti presto verranno inseriti nel mercato dell’equo e solidale. Oxfam Italia, sia nei Territori Occupati della Cisgiordania che a Gaza, lavora soprattutto nel settore agricolo e dell’allevamento, come pure nell’organizzazione di cooperative che producono latte e formaggi.

La maggior parte dei progetti dell’Ong internazionale è finanziata da Echo, l’agenzia umanitaria dell’Unione Europea per l’intervento d’emergenza. «Si cerca di sostenere le attività economiche, in modo da aumentare la produzione e, di conseguenza, l’autonomia delle famiglie palestinesi e beduine», spiega Umiliana Grifoni, coordinatrice dei progetti. «Operando sul versante agricolo, si rende anche la popolazione più radicata nel territorio, in modo che sia più difficile scacciarla e renderla profuga con un ordine militare, come avviene spesso». 

Avviene di continuo, in realtà. Arif Daraghmeh, della comunità di Al Farassyia, nella valle del Giordano, ci mostra la lettera che ordina a lui e a tutta la sua famiglia di andarsene: è datata 27 dicembre 2012. «Dove volete che andiamo? Dobbiamo dar da mangiare ai nostri figli. La vita qui è molto dura. Non è permesso costruire nulla, non è permesso scavare pozzi per usare la nostra acqua, non è permesso fare nulla. In quest’area ci sono 500 piccoli allevatori. La maggior parte di noi ha avuto la lettera di lasciare la zona, perché le strutture verranno distrutte. Il governo israeliano ordina di andare via perché questa è diventata zona militare».

“Firing zone”, le chiamano qui, ossia zone che l’esercito israeliano intende usare per esercitazioni. A Dkeika, nella zona di Hebron, è la stessa cosa. Uno dei capi della comunità beduina, Abu Nasser, spiega che tutte le famiglie hanno già ricevuto l’ordine di evacuazione: si tratta di 300 persone. «Sappiamo che da un giorno all’altro arriveranno le ruspe», dice. «D’altra parte, dove possiamo andare? Hanno vissuto qui i nostri padri e i nostri nonni. Dovremo ricominciare da capo». Dentro l’intera zona destinata a “firing zone” ci vivono circa 2.400 persone, divise nei villaggi di Istay al Foga, Istay al Tahta e Tuba.

Abu Bashar, direttore dell'Uawc, davanti alla mappa di Gaza, sulla quale è stata affissa una foto di Vittorio Arrigoni (Foto Siccardi-Sync).
Abu Bashar, direttore dell'Uawc, davanti alla mappa di Gaza, sulla quale è stata affissa una foto di Vittorio Arrigoni (Foto Siccardi-Sync).

Le conseguenze della politica di espulsione praticata da Israele si vedono da alcuni dati: solo il 14,6% dell’acqua disponibile è utilizzabile dai palestinesi: a loro è proibito scavare pozzi, mentre gli israeliani vanno a intercettare le falde profonde. Fra i Territori Occupati e Gaza, due terzi del territorio agricolo è inutilizzabile perché all’interno delle “buffer zone”, le fasce-cuscinetto dove i palestinesi non possono accedere, oppure all’interno dell’“area C”, ossia in zona proibita per uso militare.

Quanto ai commerci, di fatto le esportazioni sono rese impossibili dai controlli, ripetuti ed estenuanti, ma anche dalle procedure imposte dalla dogana israeliana: ad esempio, ogni container di imprese palestinesi costa 700 dollari in più rispetto a uno analogo delle aziende israeliane, perché circa un terzo deve essere lasciato vuoto per i controlli di sicurezza.

Il quadro della situazione lo fornisce Abu Bashar, direttore Uawc, l’associazione degli agricoltori palestinesi. Si pone accanto a una grande carta della Striscia di Gaza (sulla quale è stata affissa una  foto di Vittorio Arrigoni, il pacifista italiano assassinato a Gaza il 14 aprile 2011).

«La sanità, la scuola, i servizi sociali, tutto è problematico», spiega Bashar. «Non possiamo importare quasi nulla attraverso Israele, qualunque materiale viene illegalmente dall’Egitto, dai tunnel di Rafah, ed è caro e scadente. Intanto, a Gaza viviamo con l’acqua sempre più salata, perché i tre corsi d’acqua che entrano nella Striscia sono stati intercettati dagli israeliani, così che le falde si impoveriscono e penetra l’acqua del mare; non più del 2% della popolazione a Gaza può permettersi di mangiare pesce; e se andate all’ospedale vedrete la lunga fila che si forma ogni giorno in attesa del medico. L’elettricità ce l’abbiamo per poche ore al giorno e non riusciamo a irrigare perché non c’è gasolio per le pompe. Capite che creare sviluppo in questa situazione è davvero difficile».

La strategia di Uawc, spiega ancora Bashar, è aumentare la produzione, far sì che la popolazione si renda indipendente e autosufficiente, aumentare i capi di bestiame, produrre più formaggi. «Oxafm Italia è il nostro primo partner», sottolinea. «Le agenzie umanitarie investono molte risorse in Palestina, ma non ci possono essere risultati risolutivi di sviluppo finché non si risolve la questione politica. Israele ruba la terra, ruba l’acqua, ruba il mare. Ma poi dice di volere la pace. Quale pace vuole?».

Luciano Scalettari
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Postato da guzzi il 13/02/2013 21:57

Sol per fare un esempio: nei containers israeliani non potrebbero in alcun modo esservi ordigni esplosivi, in quelli palestinesi si.Chi si fa esplodere tra la gente in attesa di un autobus o in sosta nei caffè ? Chi ha cancellato Israele dalle carte geografiche utilizzate nelle scuole primarie? Prego: i pro ed i contro INSIEME. grazie. P:S: chi ha assassinato il povero Vittorio Arrigoni? Perché? Grazie per l'ospitalità. F.to: guzzi, un cattolico.

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