10/04/2013
I 34mila richiedenti asilo seguiti lo scorso anno dal Centro Astalli sono persone con nomi, storie e volti. Chi ce l’ha fatta e chi non ce l’ha fatta. I sommersi e i salvati, si potrebbe dire.
Come Dek, a cui è dedicato il rapporto, che ha trovato la morte il 27 gennaio a Roma in un rogo divampato nel sottopassaggio di Corso Italia, a due passi da via Veneto. Era noto tra i volontari del Centro Astalli per la sua gentilezza, i modi cordiali, la capacità di ringraziare sempre, anche per le cose più semplici.
Era molto legato alla sua famiglia, approfittava di ogni occasione per raccontare aneddoti sui suoi cari, per mostrare le loro foto custodite gelosamente nel portafogli malandato. Scappato dalla quotidiana violenza vissuta in Somalia, era giunto in Italia in cerca di salvezza, con i sogni e le speranze dei suoi 28 anni.
Lo ricorda Berardino Guarino, Direttore del Centro Astalli: «Col tempo, aveva perso la forza per lottare. Una vita sempre ai margini, senza dignità, senza una speranza concreta cui aggrapparsi, stava gradualmente spegnendo la sua voglia di combattere. Eppure da qualche mese qualcosa in lui sembrava essersi riacceso. L’antica energia sembrava esser tornata, come il desiderio di rimettersi in gioco, di riafferrare la propria vita. Fuggito dai pericoli vissuti nel suo Paese, è andato incontro a un drammatico destino proprio dove avrebbe dovuto trovare rifugio, protezione, aiuto. Un paradosso tragico e ingiustificabile, una disgrazia purtroppo annunciata se si pensa a quanti rifugiati, ogni giorno, sono costretti a vivere in sistemazioni precarie e pericolose perché esclusi da un sistema di accoglienza ormai saturo».
Aweis, proveniente dalla Somalia, "l'uomo che ha vinto tre volte" (Foto: Shoot4Change).
È scappato dalla Somalia anche Aweis, che invece ce l’ha fatta. «L’uomo che ha vinto tre volte» lo definisce il Rapporto del Centro Astalli. Fino a qualche anno fa, credeva di riuscire a cavarsela anche nel caos di Mogadiscio. Contava sui suoi mille contatti, sulla capacità di stare al mondo con un pizzico di astuzia. Anche quando le milizie di al-Shabaab hanno dato alle fiamme il suo cinema, uno spazio di leggerezza e di vita in una città piegata dagli scontri armati, non ha pensato subito di andarsene. Ha cercato di ritagliarsi uno spazio per un’esistenza tranquilla, venendo a patti con chi comandava in quel momento.
Poi una richiesta, inaccettabile: uccidere degli innocenti per provare la propria cieca obbedienza. A questo Aweis non può acconsentire. Rifiutandosi di diventare un assassino per paura, Aweis registra la sua prima vittoria, quella contro la spirale di violenza che da troppi anni travolge la sua Somalia. È una vittoria amara, che paga al prezzo della fuga.
Una discesa agli inferi in cui un orrore lascia il posto a un altro orrore: trafficanti senza scrupoli, un itinerario infinito in cui la vita umana sembra non contare più nulla, in quel Sahara in cui si vive o si muore per una manciata di dollari. Aweis combatte per sopravvivere, ma anche per non perdere la sua dignità, per non assuefarsi alle atrocità quotidiane.
Aweis vince ancora, sopravvivendo al suo personale duello con la morte. Il deserto non lo inghiotte, i flutti del Mediterraneo non lo travolgono. Neanche il percorso, tutto in salita, che deve intraprendere da rifugiato in Italia ne abbatte la forza d’animo.
La mente corre costantemente a chi è rimasto a casa. Qualcuno è stato ucciso dalla vendetta cieca dei persecutori. Ma a Mogadiscio ha lasciato tre bambini, che in tutta la loro vita non hanno mai conosciuto la pace. Non sarebbe un padre se non si buttasse, anima e corpo, anche in questa battaglia. Una guerra diversa, altrettanto estenuante: burocrazia, ritardi, cavilli incomprensibili. Ma è arrivata anche la terza vittoria, e i bambini ora sono con lui in Italia.
Stefano Pasta e Luciano Scalettari