22/05/2013
Francesco collabora con la cooperativa “La mano sul berretto” insegnando italiano agli stranieri a San Felice sul Panaro, una delle località più colpite dal sisma del 29 maggio. Sa trasmettere fiducia, passione, allegria. Le comunità di migranti, che risiedevano in gran parte nei centri storici della provincia di Modena, sono state gravemente danneggiate dal sisma a causa della perdita della casa.
«Le comunità più numerose a San Felice - come spiega l’assessore ai servizi sociali Luisa Mestola, che sembra conoscere nome per nome gli stranieri che abitano nel paese e parla con entusiasmo dei risultati raggiunti negli ultimi anni in termini di convivenza e integrazione - sono marocchini, rumeni, ghanesi, senegalesi, ucraini e moldavi».
Dall’India viene invece Kaur, 33 anni, studentessa modello che è laureata in medicina omeopatica ma in Italia non riesce a trovare un impiego. In assenza di altre strutture agibili, i corsi si tengono nell’unica ala della scuola elementare che è stata risparmiata dal terremoto. Lo stesso spazio è usato per le riunioni del consiglio comunale e varie attività a favore della cittadinanza, come il cinema, i concerti e altri eventi. La messa, invece, si svolge in una tensostruttura.
Xin Chen, 24 anni, sembra un
ragazzino, ma è padre di due figli di 5 anni e 18 mesi. Viene dalla provincia
meridionale dello Zhejang, come la stragrande maggioranza dei suoi connazionali
immigrati dalla Cina nella provincia di Modena. È un abile imprenditore nel
settore della ristorazione. Lo incontriamo nel suo ristorante a due piani, il “5
stelle”, che ha aperto a Mirandola il 23 aprile 2012. È stato un duro colpo,
per Chen, scoprire che la scossa del 29 maggio aveva resa inagibile il locale
appena inaugurato. Ma non si è dato per vinto e in soli 71 giorni è riuscito a
riaprire le porte.
Chen - come lo chiamano tutti a Mirandola - crede nel valore
dell’integrazione e dello scambio interculturale. Arriva in Italia all’età di 9
anni senza sapere una parola della nostra lingua. A 18 anni, a seguito di un’iniziativa
della regione Emilia Romagna, ha la possibilità di partecipare al servizio
civile volontario e di conoscere gli operatori della cooperativa “La mano sul
berretto”. È talmente bravo che diventa, nel tempo, il migliore mediatore
linguistico della zona.
Ancora oggi, nonostante i suoi impegni con il
ristorante, collabora con la cooperativa. Nel locale dà lavoro a ragazze rumene
e moldave. «La comunità cinese è stata molto autonoma nel gestire le difficoltà
dopo il sisma - ci spiega - il console cinese è venuto personalmente per
distribuire le tende. I cinesi hanno preferito non chiedere aiuti esterni e
hanno allestito le tende davanti ai loro esercizi commerciali. Sono orgoglioso
del mio popolo, che ha mostrato grande dignità e determinazione».
Enrico, 54 anni, vive con la
mamma Maria di 74 anni in un MAP (Modulo Abitativo Provvisorio) a Cavezzo, il
suo paese di origine, epicentro della scossa del 29 maggio 2012. Per salvare il suo cane, ha rischiato la sua stessa vita, già difficile a seguito di 4 operazioni
al cuore e altrettanti by-pass, risalendo tre piani di scale mentre la gente
dalla strada gli urlava di fermarsi. L’uomo ha trovato la cagnolina
terrorizzata sotto il letto: con fatica è riuscito a strapparla da quel rifugio
e portarla al sicuro.
Nei 4 mesi successivi Enrico ha dormito con la mamma e
Margot in una Fiat Punto grigia, poi altri 5 mesi in una roulotte e infine 9
mesi nella tendopoli “Abruzzo” dove - spiega - «La presenza di Margot a volte
ha creato problemi di convivenza con gli altri ospiti, specialmente quelli di
origine islamica che, per motivi religiosi, non si avvicinano ai cani». Da
due mesi è stato trasferito nel MAP e ci racconta: «Sento di avere finalmente
una casa, anche se è composta solo da una piccola cucina, un bagno e una camera
e sono costretto a dormire sul divano accanto ai fornelli».
«Non riesco a superare il dramma del terremoto - racconta la signora Giovanna - ad ogni minimo rumore sussulto, ho paura di tutto, anche del buio o di fare la doccia. Non mi reco mai in centro, perché vedere il mio paese ridotto in macerie mi fa soffrire troppo». Giovanna, con il marito e il figlio, ha rimesso in sicurezza la sua villa di campagna con i risparmi di famiglia e, come molti, teme che i fondi statali per i terremotati dell’Emilia non arriveranno mai.
«Abbiamo dormito per due mesi in una tenda montata in giardino - spiega - poi, dopo i necessari accertamenti, siamo rientrati in casa, ma non ho ancora trovato il coraggio di sistemare i mobili e mettere i quadri alle pareti».
Alberto Picci