Difesa, dubbi etici e costi elevati

Convegno (blindato) sulle missioni di pace. In quella occasione, i vertici hanno sollecitato la riforma del settore chiedendo mano libera. Le riflessioni della Tavola della pace.

26/09/2012
Tutte le fotografie di questo servizio, copertina inclusa, sono dell'agenzia Ansa.
Tutte le fotografie di questo servizio, copertina inclusa, sono dell'agenzia Ansa.

«Un plotone di suore». Il generale Luigi Ramponi, ora senatore del Pdl, è il più esplicito: «Se in Irak avessimo voluto fare un intervento umanitario avremmo inviato un plotone di suore. Quello è stato un intervento bellico vero e proprio». Ci sono molte cose che le vecchie gerarchie militari italiane non sopportano: che in Italia (e solo in Italia) si debba chiamare la guerra con un altro nome (missioni di pace); che i politici dicano quali armi usare o non usare nel campo di battaglia (in Kosovo come in Afghanistan); che il Parlamento “pretenda” di decidere come ristrutturare e riorganizzare le Forze armate, quali armi comperare o rottamare; che il Paese non riconosca sino in fondo la loro importanza, la loro funzione, il loro valore.

Ma, anche per loro, il problema più grande oggi è un altro e si chiama crisi economico-finanziaria. I soldi non ci sono più. L’illusione di continuare ad aumentare la spesa militare è archiviata e ora tocca davvero fare i conti con la spending review. Ne è ormai convinto obtorto collo anche il ministro tecnico della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, che il 25 settembre ha concluso il convegno sul ruolo dell'Italia nelle missioni internazionali organizzato presso la Camera dei Deputati dallo Iai (Istituto affari internazionali) e dall'Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale).

Flavio Lotti.
Flavio Lotti.

Il problema resta “come fare” e “cosa fare”. e soprattutto: con quali obiettivi? Le tesi emerse nel corso del convegno – un convegno blindato, senza contraddittorio – ci debbono preoccupare non tanto per il contenuto quanto per la totale assenza di una riflessione critica sulle sfide internazionali che il nostro Paese è chiamato ad affrontare e sugli strumenti più appropriati per fronteggiarle. Un vuoto, che è innanzitutto politico, che ci deve allarmare perché lascia il nostro paese privo di una visione e di un progetto in grado di affrontare il tempo lungo e difficile della crisi e del cambiamento che stiamo vivendo.

Le idee del ministro sono tanto semplici quanto disarmanti. Tutte centrate nella difesa dei privilegi e delle ambizioni delle vecchie alte gerarchie. Sono passati trent’anni da quando abbiamo fatto la prima missione di pace in Libano. Da allora siamo cresciuti (leggasi le Forze armate), ci siamo liberati della sindrome degli sconfitti (ultima guerra mondiale), abbiamo imparato sul campo a fare la guerra e anche a costruirci delle buone armi (leggasi Finmeccanica), abbiamo inventato i soldati di pace e la via italiana alle missioni militari e oggi molti ci vogliono copiare, non abbiamo nulla da invidiare agli altri, abbiamo tenuto alta la bandiera dell’Italia nel mondo. Ora dobbiamo salvaguardare la nostra “capacità operativa” (leggasi fare la capacità di andare in guerra a 300, 6000 o 10.000 chilometri da casa nostra). 

Per questo, prosegue una certa scuola di pensiero, il Parlamento deve lasciar fare senza troppe discussioni che fanno solo perdere tempo, deve approvare entro la fine dell’anno il disegno di legge delega (in bianco) oggi in discussione al Senato e deve garantire
1)      che non ci saranno altri tagli di bilancio,
2)      che per i prossimi 12 anni ci saranno almeno le stesse risorse previste ora,
3)      che appena possibile ci dovranno essere nuovi finanziamenti soprattutto per l’industria bellica e le nuove armi come gli F35 che vanno assolutamente comprati per restare nel primo gruppo degli interventisti.

La politica, termina questo indirizzo geostrategico-economico,  deve sostenere e si deve impegnare di più per far passare queste idee nell’opinione pubblica.   Di fronte a questa situazione – non meno grave delle tante altre che stiamo sopportando - è necessaria una più ampia assunzione di responsabilità. Di tutti quelli che vogliono salvare e cambiare questo Paese. Il primo obiettivo concreto e immediato è impedire l’approvazione nelle prossime settimane di una riforma delle forze armate finta, costosa e pericolosa.

Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace
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Postato da genepi il 27/09/2012 14:29

Ma questi signori (sic!), magari hanno anche giurato di servire la Repubblica giurando sulla Costituzione che, tra l'altro dice.... "...l'Italia ripudia la guerra...".

Postato da ant@ino il 26/09/2012 22:29

Trovo la battuta del generale Luigi Ramponi davvero qualunquista e volgare. Tuttavia, la spiritosaggine del generale nasconde una verità. Se davvero avessimo mandato in Iraq un esercito di suore a risolvere i problemi dell'istruzione, della cura dei malati, della tutela dell'infanzia e della maternità, con una spesa incomparabilmente minore a quella necessaria per il mantenimento di qualsiasi esercito in armi, avremmo da un pezzo e per sempre risolto i problemi di quell'infelice paese. E non avremmo ammazzato nessuno.

Postato da Franco Salis il 26/09/2012 17:25

Ma perché questi amici della tavola della pace a “parole” non la smettono di prendersela col ministro della difesa che sta facendo il suo mestiere? Famiglia cristiana è tornata numerose volte su questo argomento, sempre da me attentamente letto, ma non ho mai trovato altro che orientamenti ideologici. Si anche la assistenza ,per il trasporto delle derrate alimentari, occorrono le armi diversamente le derrate finiscono in mani del dittatore di turno. La carica ideologica è evidenziata dall'insistente pretesa di discutere in parmalento,ma siamo pazzi? o tu parlamento hai fiducia in me e approvi le mie proposte ,o io me ne vado.Mettiamoci d’accordo su una cosa: o accettiamo il vecchio detto latino “pro pacis, para bellum”ed è ciò che sta facendo il ministro che è comunque una forma di prevenzione, o ci dicano questi amanti della pace, quali azioni intendono intraprendere verso coloro singoli individui o gruppi o stati promuovono le condizioni dei conflitti. Allego di seguito le condizioni che promuovono i conflitti Secondo Jonan Galtung le condizioni di povertà economica sono le più importanti cause di lungo termine dei conflitti armati, all’interno di un medesimo Stato, della nostra epoca; - anche i sistemi politici autoritari sono war-prone (essendo caratterizzati dalla cosiddetta negative peace), soprattutto nei periodi di transizione; - la mancanza di una corretta distribuzione della ricchezza e di giustizia sociale può provocare conflitto anche all’interno dei sistemi democratici; - la positive peace, concetto assente in ogni sistema politico attuale, sarebbe la condizione necessaria ad una cultura di pace e giustizia sociale; - il depauperamento di risorse rinnovabili può contribuire in modo significativo allo scatenarsi di un conflitto, ma questa causa non è in genere considerata centrale dagli studiosi, malgrado essa appaia decisamente correlata a condizioni economiche di povertà; - la diversità etnica non è di per sé causa di conflitti armati, anche se le parti in lotta sono spesso identificabili attraverso il dato etnico. Gli amici della tavola della pace sono d’accordo su questi punti e quali sono secondo loro i responsabili possibilmente con nome e cognome. Paghe a tottu

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