22/10/2010
Sara e Francesco, due scout diciannovenni, vengono da Campo San Pietro, in provincia di Padova. Emanuele, 27 anni, arriva da Roma. La quindicenne Ilaria, invece, "gioca" in casa: è, infatti, di Torino. Sabato 16 ottobre, circa quindicimila ragazzi affollano la centralissima piazza San Carlo per il terzo incontro "Giovani della pace", promosso e organizzato dal Sermig. Bandiere, canti, cartelloni, ma anche (e soprattutto) riflessioni e testimonianze. Alcune raccontate direttamente dal palco, altre raccolte in brevi schede video, per garantire l'anonimato dei protagonisti.
Ecco, allora, Hamdi e Fathia, due sorelle somale fuggite da Mogadiscio quand'erano poco più che adolescenti e arrivate in Italia dopo un terribile viaggio attraverso il deserto del Sahara; ecco Luca, un ragazzo italiano di 22 anni, schizofrenico per l'abuso di spinelli e di altre sostanze stupefacenti; ecco Vahid, un ventisettenne iraniano che ha perso la vista a causa di una pallottola sparata dalla polizia durante una manifestazione contro il regime degli ayatollah. E, infine, ecco Leo, 30 anni, di Scampia, voce di un quartiere ferito di Napoli.
Ernesto Olivero ha 70 anni ben portati. Bancario in pensione, credente uso a rimboccarsi le maniche senza guardare l'orologio, padre e nonno felice, nel 1964 ha fondato il Servizio missionario giovani, Sermig, di cui è tuttora l'instancabile animatore. L'incontro mondiale dei giovani (presenti delegazioni della Germania, della Romania, dell'Albania, della Giordania, del Brasile e di diversi Paesi africani) è nato con almeno due obiettivi, spiega. Il primo è stato raggiunto in pieno. Il secondo, no.
«Volevamo rendere visibile quell'universo di buona volontà che è rappresentato da quanti s'affacciano alla vita», dice a Famiglia Cristiana, «e piazza San Carlo s'è riempita di migliaia di persone, nella quasi totalità giovani, molti addirittura d'età compresa tra i 15 e i 18 anni: un buon segno, reso ancor più significativo dal fatto che nessuno s'è mosso quando la pioggia ha cominciato a flagellare Torino. Ma volevamo anche far sì che i segretari nazionali di partito e i principali leader sindacali venissero a sedersi tra noi, senza diritto di parola e con obbligo d'ascolto: un modo per stipulare un patto tra generazioni basato su un'approfondita conoscenza reciproca e sulla sincera compresione, ma non s'è fatto vivo nessuno. E' un peccato, un'occasione persa».
Olivero non ha dubbi: «Viviamo in una società che ha toccato il fondo. S'illude e illude. Ma non convince, perché non vive o vive male. Purtroppo abbondano coloro che parlano di giovani, ma poi - alla prova dei fatti - risulta che lo fanno per sentito dire; ci si ferma a qualche cartolina, pure sbiadita, nulla di più. Il "mondiale dei giovani" del Sermig dura 365 giorni all'anno. Noi ascoltiamo loro, senza blandirli, offrendo ideali alti, intessuti d'Evangelo, gli stessi che hanno dato senso alla nostra vita e per i quali fatichiamo ogni giorno. I giovani, dal canto loro, frequentano noi. E' un rapporto che poggia sul rispetto e sulla condivisione. Accade nell'ex arsenale militare di Torino, immagine concreta della profezia di pace di Isaia ("trasformeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci"), una serie di capannoni industriali dove un tempo si costruivano cannoni e altre armi, e dove ora, invece, in locali resi accoglienti dal lavoro gratuito di molti, vengono accolti e aiutati poveri, ragazze madri, ex carcerati, immigrati. E così accade anche nella altre nostre case, a Madaba, in Giordania, e a San Paolo del Brasile. Tutti i nostri "arsenali" ospitano un monastero di preghiera e sono un laboratorio di idee».
La pace si costruisce a partire da nuovi stili di vita, ammonisce Olivero. «La sobrietà dev'essere una scelta condivisa e vissuta, mentre il dialogo deve diventare un comportamento quotidiano, altrimenti si accumulano deficit di credibilità. E se i giovani non trovano esempi credibili, volgono lo sguardo altrove, scoraggiati. Il Sermig e i giovani voglio dare insieme una buona notizia: il mondo si può cambiare, davvero».
Alberto Chiara