Missioni di pace o guerra e basta?

Il problema degli F-35 rimanda a come l'Italia intende le Forze armate di domani e il loro impiego, se in operazioni di peacekeeping (tipo Libano) o se in azioni più aggressive (Libia).

Il senatore Scanu: «L’Italia e le tentazioni da superpotenza»

26/03/2012
Una delle nostre basi operative avanzate in Afghanistan. Foto di Nino Leto.
Una delle nostre basi operative avanzate in Afghanistan. Foto di Nino Leto.

Aveva presentato in Parlamento un disegno di legge per rivedere l'attuale modello di difesa. La sua proposta poteva essere l'opportunità per un dibattito serio sulle spese militari, che quest'anno ammontano a 23 miliardi di euro. E magari per mettere in discussione l'acquisto dei 90 cacciabombardieri d'attacco F-35, dopo le ripetute denunce della società civile. Ma il Governo ha reagito con una bocciatura secca e la proposta non è stata neppure esaminata.

Il senatore Gian Piero Scanu, capogruppo del Pd in Commissione Difesa e primo firmatario del disegno di legge, non nasconde la sua amarezza: «In tempi di grave crisi economica, anziché contrarre le spese, il Governo decide di usare risorse ingenti per acquistare armi di dubbia utilità. Mi chiedo dove sia la coerenza».

- Senatore, in che cosa consisteva esattamente la sua proposta?
«Il disegno di legge, presentato sia alla Camera che al Senato, prevedeva l'istituzione di una commissione bicamerale che avrebbe dovuto elaborare, in sei mesi, un libro bianco (cioè un testo di indirizzo politico, ndr) sulla difesa e la sicurezza nazionale».

- E invece?
«E invece il Governo ha fatto sapere di essere contrario e la proposta è stata bloccata. Questo è un clamoroso svilimento del ruolo delle Camere. Ma siccome, almeno formalmente, le commissioni parlamentari non possono essere scavalcate, si è fatto ricorso al cosiddetto "affare assegnato", il mezzo legislativo meno importante che esista in assoluto. E nel portarlo avanti si vorrebbero evitare tutte le necessarie audizioni. A quanto pare, sull'argomento difesa, il Governo ha già elaborato un piano preciso e non accetta "perdite di tempo". Ho il timore che, di questo passo, si arriverà a giustificare anche l'acquisto dei caccia F35.

- La sua proposta faceva riferimento a un «nuovo modello di difesa». Che cosa intende con questo termine?
«Intendo dire che bisogna fare delle scelte. Possiamo inseguire un ruolo di leadership da superpotenza, oppure possiamo ricordarci di essere parte dell'Europa e quindi inserirci in un contesto di difesa europea».

Il senatore Gian Piero Scanu, capogruppo del Pd alla Commissione Difesa di Palazzo Madama.  Foto Imagoeconomica.
Il senatore Gian Piero Scanu, capogruppo del Pd alla Commissione Difesa di Palazzo Madama. Foto Imagoeconomica.

- Secondo lei, in questo momento in Italia ci sono tentazioni da superpotenza? «Purtroppo sì. E queste tentazioni a volte si manifestano in modo schizofrenico. Da un lato si disinveste su addestramento e funzionamento logistico, si trascurano le specializzazioni che il nostro Esercito aveva e si chiudono i centri di manutenzione. Dall'altro lato si acquistano armi pensate per i conflitti ad alta intensità. Procedendo per questa strada si rischierebbe seriamente di violare l'articolo 11 della Costituzione, secondo cui l'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Non solo: la Costituzione afferma che l'Italia non può agire in condizione unilaterale, un principio troppe volte dimenticato».

- Nel 2012 per le spese militari sono stati messi in bilancio 23 miliardi di euro. Sono troppi?

«Il problema non è la cifra in sé, ma il tipo di investimento. Se le risorse vengono usate in un'ottica di cooperazione, per addestrare personale capace di risolvere le criticità, dentro e fuori i confini nazionali, e per potenziare la protezione civile, allora la spesa è giustificata. Ma se le stesse risorse servono per sistemi d'arma la cui utilità non è mai stata dimostrata, evidentemente bisogna intervenire. O si dimostra l'utilità di queste armi, cosa che finora non è avvenuta, oppure si alleggeriscono le spese».

- Dunque, 23 miliardi spesi male?
«Esattamente. Credo che in questo momento manchi una sana sintonia con il Paese. Non si tratta di indulgere al qualunquismo, ma di ascoltare un sentire comune. E la voce del buon senso rifiuta l'idea di minacce incombenti da affrontare immediatamente con armi d'attacco».

- Proprio in questi giorni, a seguito dell'ultimo attacco terroristico, l'Italia ha pagato un nuovo, doloroso tributo di sangue: ha perso la vita il cinquantesimo militare in Afghanistan. Torna ad accendersi il dibattito sul nostro impegno internazionale. Le missioni di pace all'estero sono davvero tali o sono in realtà "missioni di guerra"?
«Bisogna riconoscere che a volte il confine è sottile. Penso comunque che il nostro Paese debba continuare a garantire questo tipo di impegno internazionale. Ma sempre con uno sguardo vigile e con un sacrale rispetto per la coerenza. L'obiettivo è difendere i popoli inermi e favorire il processo di pace, in una dimensione europea e in un contesto, ci tengo a sottolinearlo, multilaterale. Altrimenti si rischia di piegarsi ai disegni delle superpotenze. Nel caso dell'Afghanistan, ad esempio, ho più volte messo in luce il pericolo di una confusione tra le missioni Isaf (operante sulla base di una risoluzione Onu, ndr.) ed Enduring Freedom, sorta invece in modo unilaterale.

- La sua proposta di legge è caduta nel vuoto, in un clima di generale disinteresse. Pensa di essere stato lasciato solo, anche dal suo partito?
«Vorrei evitare qualunque forma di vittimismo. Credo però che la politica non abbia ancora chiara l'importanza di questi temi. C'è una grande mancanza di sensibilità. E la logica di assecondare la lotta all'emergenza economica rischia di trascinare con sé anche questioni delicate. Questioni che andrebbero riviste, a cominciare proprio dal contenimento delle spese militari».

- L'occasione di un rinnovamento del modello di difesa è definitivamente persa?

«Non è detto. Questo dipenderà dalla capacità del Parlamento e dall'impegno del Governo. Sicuramente ci vorrà del tempo, ma non parlo di tempi biblici. In tre mesi si potrebbe già arrivare a un buon livello di approfondimento. Vari gruppi parlamentari si stanno attivando: un confronto serio su temi così fondamentali non si potrà eludere in eterno».

Lorenzo Montanaro       

A cura di Alberto Chiara
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