Guerra e fame, il Congo è stremato

Il nuovo conflitto provocato dai ribelli dell'M23 ha fatto scoppiare una nuova crisi umanitaria nella regione: 100 mila profughi sono allo sbando. Intanto i ribelli avanzano.

Il portavoce dell'M23: "Arriveremo a Kinshasa"

25/11/2012
Tutte le fotografie di questo dossier, copertina inclusa, sono dell'agenzia Reuters.
Tutte le fotografie di questo dossier, copertina inclusa, sono dell'agenzia Reuters.

È di nuovo guerra nell’est della Repubblica democratica del Congo: il capoluogo del Nord Kivu, Goma, è stata conquistata dal movimento ribelle denominato M23 (Movimento 23 marzo). Ma il gruppo di guerriglieri ha già cominciato a proseguire la propria marcia verso Sud. Dalle sponde orientali del lago Kivu, dove si trova Goma, M23 ha già preso la cittadina di Sake e avanza in direzione di Minova e Bukavu, la capitale del Sud Kivu.

     Intanto, a Goma, il movimento ribelle sta arruolando nuovi giovani, offrendo 5 mila franchi congolesi (circa 5 dollari) a ogni nuova recluta. A Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, fonti missionarie locali sentite dall’agenzia di stampa Misna riferiscono di un clima di paura generalizzata: la popolazione cerca di fare scorta di generi di prima necessità, anche se mercati e negozi sono in gran parte chiusi. Per le strade si vedono diverse pattuglie delle Forze armate congolesi.

     La gente di Bukavu contesta la missione Onu (denominata Monusco). Ci sono state diverse manifestazioni di protesta contro l’inazione dei caschi blu, che non sono intervenuti a Goma per proteggere la popolazione dall’attacco dei ribelli. Protesta, peraltro, che si rivolge anche contro il governo di Kinshasa, che non solo non ha saputo fermare l’M23, ma che si è anche precipitosamente ritirato in direzione di Bukavu.

     L’azione militare dei ribelli sembra destinata a proseguire. Il portavoce militare, colonnello Viannay Kazarama, davanti alla folla riunita nello stadio di Goma, ha annunciato: «Non ci fermeremo, andremo fino a Bukavu, Kisangani e Kinshasa». L’intenzione, quindi, sarebbe quella di trasformare l’avanzata in un vero e proprio movimento di insurrezione contro il governo centrale, come avvenne nel 1996-1997, quando i militari di Laurent Desiré Kabila – il padre dell’attuale presidente del Congo – conquistò il Paese fino alla fuga di Mobutu.

     Da Kinshasa è arrivata la reazione del primo ministro Matata Ponyo: «Abbiamo perso una battaglia», ha detto, «ma non la guerra. La vittoria ci appartiene ancora». Il capo del governo ha invitato la popolazione a dare prova di «unità e patriottismo per preservare la sovranità e l’integrità del territorio nazionale».

     Cresce la preoccupazione della comunità internazionale per l’evoluzione del conflitto, che potrebbe destabilizzare l’intera regione e provocare gravi conseguenze nei rapporti fra il Congo e i Paesi vicini. In questi giorni sono state rinnovate le accuse nei confronti di Ruanda e Uganda di dare sostegno ai ribelli dell’M23. Ma già da mesi rapporti diffusi sia da fonti congolesi che dalle Nazioni Unite denunciato l’appoggio militare di Kigali e di Kampala al gruppo ribelle. Accuse che i due governi naturalmente respingono. Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha anche minacciato di ritirare le proprie truppe dalla missione di peacekeeping impegnata in Somalia.

Luciano Scalettari
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