Io speriamo che sarò italiano, curiosiando nei quaderni...

20/11/2012

«Io sono un bambino che ama due cose: il cous-cous e la cotoletta». «Io sono nato in Italia, sono italiano. Non sono nato nel Paese dei miei genitori, e non ci sono neanche mai andato, perché costa troppo». «Io non sono un immigrato. Sono figlio di persone coraggiose che hanno deciso di lasciare il loro Paese in cerca di un futuro migliore». «Io non sono un ‘cinesino’, ma un bambino cinese».

Frasi di bambini e ragazzi stranieri, ma nati e cresciuti in Italia, che esprimono a loro modo il disappunto, il disagio, perfino la rabbia di chi viene troppe  volte etichettato come un diverso, uno che non è ancora “dei nostri”, solo perché magari ha la pelle scura, a volte parla in modo incomprensibile, o mangia cibi strani. Sono le voci di alcuni dei 572 mila minori stranieri nati in Italia, figli di genitori migranti e, perciò, privi di cittadinanza, perché la nostra legislazione non riconosce ancora lo “jus soli” e non basta esser nati a Torino o Palermo, a Reggio o a Scandicci per essere cittadini italiani.

Daniela Anghel, 36 anni, moldava, ma da molti anni in Italia, vicepresidente delle Acli-colf di Treviso, ha pensato di raccogliere tra gli alunni stranieri delle scuole elementari e medie del Veneto un bel po’ di questi  pensierini. Ne è uscita una divertente, ironica antologia: tante piccole perle di saggezza infantile. Eccone alcune. Non servono commenti, perché dicono già tutto, nella loro ingenuità, forse, ma anche con la forza che tanti adulti hanno perduto di dire le cose come stanno. Di dire ciò che conta davvero.

«Io sono un bambino; non sono l’interprete della scuola, voglio giocare e non perdermi la ricreazione». «Io sono trilingue: parlo italiano, filippino e ilocano (dialetto delle Filippine, ndr). E tu quante lingue parli?». «Io non sono integralista. Sono di religione musulmana». «Io sono un cittadino non comunitario, come gli americani, gli svizzeri, i giapponesi. Non sono un extra-comunitario… e neanche un extraterrestre». «Io sbaglio le doppie, ma non sono sbagliato”. “Io sono un lettore veloce: leggo tremila caratteri, non sono un analfabeta da alfabetizzare”. “Io non sono clandestino, sto nel permesso di soggiorno scaduto di mio padre che lavora in nero e fa il panettiere di notte». «Io non sono figlio di coppia mista. Sono figlio di mio padre e di mia madre». «Io non ho la musica nel sangue. Sono stonato e non sono veloce come una gazzella». «Io sono amato e non sono stato abbandonato dai miei genitori che per alcuni anni non hanno potuto tenermi con loro, e che con molto dispiacere mi hanno affidato ai nonni».

Anche questo è un modo per dire “l’Italia sono anch’io”, per usare lo slogan coniato per la campagna  di sostegno alla proposta di legge che riconosce lo "jus soli". Loro, i bambini, però, lo sanno dire meglio.

Alberto Laggia

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