Osare il futuro, le Acli a congresso

Per rimettere in piedi l'Italia, afflitta da una grave crisi che è di valori, e non solo economica, occorre ridare fiato, dignità e ideali alle comunità locali. Battendo l'antipolitica.

Circoli e patronati, la politica dal basso.

03/05/2012
Eugenio Pacelli, papa Pio XII, benedice i 300 mila aclisti che affollano piazza San Pietro il 1° maggio 1955. Foto: archivio Acli.
Eugenio Pacelli, papa Pio XII, benedice i 300 mila aclisti che affollano piazza San Pietro il 1° maggio 1955. Foto: archivio Acli.

La parola d’ordine è fedeltà: alla Chiesa, alla democrazia, ai lavoratori. Un impegno al quale le Acli non si sono mai sottratte. Fin da quel 1° maggio 1955 quando il motto fu lanciato in piazza del Popolo, a Roma, dall’allora presidente Dino Penazzato a sancire ufficialmente quel che era stato il cammino dell’associazione nei suoi primi dieci anni di vita. E a indicare la strada sulla quale, pur con tutte le turbolenze della storia, le Acli avrebbero continuato a camminare.

Nel riceverli in piazza San Pietro al mattino, Pio XII era rimasto sorpreso: «Ma quanti sono? Non ho mai visto tanta gente. E sono tutti lavoratori», aveva detto a monsignor Ernesto Civardi, allora assistente ecclesiastico delle Acli, e al futuro Paolo VI. In 300 mila erano convenuti in piazza per festeggiare anche cristianamente la loro festa.

Lavoratori di Cinecittà del circolo Acli San Giovanni Bosco in piazza San Pietro. Foto: archivio Acli.
Lavoratori di Cinecittà del circolo Acli San Giovanni Bosco in piazza San Pietro. Foto: archivio Acli.

Chi vestito da operaio, chi da contadino, giovani e meno giovani, con una lista interminabile di doni, dal trattore al peschereccio, fatto passare sulla testa dei lavoratori. Non mancavano neppure tecnici e comparse di Cinecittà che innalzavano un cartello con scritto Ben Hur. Tutti insieme formavano una folla senza fine che dalla piazza si spingeva al ponte sul Tevere.

Per loro, in quell’occasione – e proprio su richiesta della presidenza delle Acli – Pio XII volle istituire la festa di san Giuseppe lavoratore, «il battesimo cristiano della festa del lavoro». Le Acli, d’altronde, sono da sempre un movimento di massa. Nella mente di Achille Grandi, il suo fondatore, nascono sul finire dell’agosto 1944 come corrente cattolica del sindacato unitario costituitosi qualche mese prima, con il Patto di Roma (giugno 1944), cristiani, socialisti e comunisti gli uni accanto agli altri. L’Italia è ancora divisa, si combatte e si muore, ma il mondo del lavoro è già in fermento.

Foto: archivio Acli.
Foto: archivio Acli.

La voglia di un’esperienza nuova, vitale, dinamica è testimoniata dal moltiplicarsi dei circoli con cui le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, le Acli appunto, si radicano nel territorio: sono 250 nel settembre 1945, diventano 1.846 appena il Nord liberato dal nazifascismo può dare il suo contributo di idee e di fabbriche, risultano essere oltre 3.600 nel 1947 e sfiorano “quota” 5 mila nel mitico e travagliato 1948 (stando ai puntigliosi registri dell’epoca sono 4.825).

Diffusione capillare e notorietà viaggianoa braccetto. È il 1951 quando nel film Mamma mia che impressione! Alberto Sordi guida un gruppo di tenaci corridori della parrocchia con addosso una vistosa canottiera Acli Roma. E un giovanissimo Lucio Dalla, a soli 16 anni, gioca a basket con le Acli Labor. Il coinvolgimento dei giovani e l’attenzione alla formazione sono due cavalli di battaglia per questa “associazione di associazioni”, fortemente popolare e radicata nel sociale.

Le Acli in piazza San Pietro. Foto Imagoeconomica.
Le Acli in piazza San Pietro. Foto Imagoeconomica.

Non sempre son rose e fiori. Capita che le Acli provochino la “deplorazione” del Papa. Dopo la scelta, nel congresso di Torino del 1969 (presidente Livio Labor), della fine del collateralismo con la Democrazia cristiana e dopo “l’ipotesi socialista”, lanciata nel convegno di Vallombrosa del 1970 dal presidente Emilio Gabaglio, Paolo VI interviene ufficialmente. «Le Acli hanno fatto piangere il Papa», si disse allora. Una sofferenza reale per un Papa che li aveva apprezzati e sostenuti e che, invece, sarà costretto a dire che i loro nuovi orientamenti «con le discutibili e pericolose implicazioni dottrinali e sociali sono fuoridall’ambito delle associazioni per le quali la gerarchia accorda il consenso». Vengono ritirati gli assistenti ecclesiastici e si apre una lunga stagione di frattura.

Ci vorranno sei anni per avere di nuovo un assistente spirituale (anche se non più un vescovo) e undici per essere ricevuti di nuovo ufficialmente da un Papa. Padre Pio Parisi, il gesuita che affianca l’associazione per lunghi anni e che le resta affezionato fino alla morte avvenuta lo scorso agosto, svolge un sapiente lavoro di accompagnamento.C’è da “non buttare via il bambino con l’acqua sporca”, c’è da capire come intrecciare il forte impegno sociale, il sogno di un grande riformismo con la capacità di rimettere insieme un’associazione che si è frammentata, che sta perdendo identità. Non è un caso se Domenico Rosati, quando assume la guida dell’associazione nel 1976, si definisce «il presidente di un problema».

Ma è un problema che fa discutere, che invita politici e intellettuali a confrontarsi sui temi concreti, che conserva lo sforzo di mantenere un’autonomia culturale e politica, anche senza strappi con la gerarchia. La svolta di Chianciano, nel congresso del 1993 guidato da Giovanni Bianchi, apre una fase costituente che sfocia, poi, nel congresso di Napoli (1996, presidente Franco Pasuello), in un nuovo patto associativo. Il presidente Luigi Bobba rilancia gli incontri nazionali di studio di Vallombrosa. Si valorizzano tutti quegli impegni che, pur tra scossoni e scissioni, non sono mai stati abbandonati. Anzi, le frontiere si aprono, si comincia a discutere di globalizzazione come nuova questione sociale, viene ribadita la scelta internazionale a partire dall’Europa.

Pace, disarmo, cancellazione del debito estero dei Paesi in via di sviluppo e cooperazione sono temi che le Acli declinano in maniera autonoma e originale nel moltiplicarsi di esperienze ecclesiali (“Sentinelle del mattino”, “Retinopera”) e in ambiti plurali, come il cosiddetto “popolo di Porto Alegre”. Un respiro mondiale che non fa, però, mai dimenticare l’Italia e le grandi battaglie per il lavoro, la lotta alla povertà, la difesa del welfare e l’equità fiscale, come provano, è cronaca di questi giorni, le proposte avanzate al Governo Monti da Andrea Olivero, l’attuale presidente delle Acli.

Alberto Chiara e Annachiara Valle
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