Quando il gioco è una malattia

L'allarme del Censis: il 7% dei giocatori italiani è "a rischio", mentre i patologici sono il 2%, ma si sale al 12% tra i giovani. Il disturbo riconosciuto dall'Oms. Mappa degli aiuti.

La "terapia preventiva" del matematico e del fisico

02/01/2012
Diego Rizzuto e Paolo Canova
Diego Rizzuto e Paolo Canova

A volte la vita è questione di prospettive: c'è chi lavora sulle conseguenze e chi invece gioca d'anticipo. L'elenco dei pionieri impegnati nella battaglia contro il gioco patologico include anche due giovani studiosi torinesi, un matematico e un fisico: Paolo Canova e Diego Rizzuto. Il loro modo di affrontare il problema è assolutamente inedito. In un certo senso si tratta di una 'terapia preventiva'. Quando, alcuni anni fa, hanno iniziato a lavorare insieme, di rischi, patologie e dipendenze non sapevano quasi nulla. Il loro obiettivo era un altro: volevano trovare un modo divertente per spiegare ai 'profani' che cos'è il calcolo della probabilità.

  

Foto: Thinkstock
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Il gioco d'azzardo pareva un ottimo spunto, senz'altro più accattivante di schemi e palline colorate disegnate sui libri di testo. Così hanno iniziato a studiare i vari giochi, a 'smontarli' per descriverne i meccanismi di funzionamento. Da questi esperimenti è nato il progetto "Fate il nostro gioco". Ben presto però la ricerca ha preso una direzione diversa. C'erano troppe incongruenze. Da un lato le leggi matematiche, in base alle quali, nel tempo, qualsiasi giocatore è destinato a perdere denaro e le perdite sono tanto più consistenti quanto più aumentano le giocate. Sul versante opposto la comunicazione martellante, che invita tutti a giocare, sbandierando vincite clamorose e grandi opportunità. "Noi non siamo assolutamente contrari al gioco  - spiega Canova – Semplicemente vorremmo che ci fosse un'informazione adeguata. Molte pubblicità, a cominciare proprio da quelle dei giochi di Stato, contengono messaggi ingannevoli".

"Fate il nostro gioco" è un progetto con tante facce. Nel 2010 è stata allestita una mostra itinerante, ospitata anche al Festival della Scienza di Genova: tra tavoli verdi, roulette e gratta e vinci, i visitatori hanno potuto toccare con mano i diversi giochi, imparare a osservarli con l'occhio dello scienziato, capirne gli ingranaggi, le piccole e le grandi trappole. Il successo di quell'esperienza ha suggerito di organizzare una serie di incontri per raccontare con un linguaggio semplice e a un pubblico sempre più vasto le leggi nascoste del gioco. "Ci siamo resi conto – spiega Canova – che c'è un enorme bisogno di informazione su questi temi". Oggi i due studiosi ricevono in media due o tre inviti ogni settimana da enti di ogni genere e arricchiscono con un contributo originale la riflessione sul gioco patologico.

Non solo: dal 2011 hanno intrapreso un prezioso lavoro nelle scuole superiori. La loro proposta, inserita nella lista del Ce.se.di (il Centro Servizi Didattici) della provincia di Torino, è al primo posto per numero di richieste. Merito anche di un approccio giovane e antiretorico. "Dire a un adolescente 'non devi fare qualcosa' è il modo migliore per indurlo a farla.  A quell'età i ragazzi vogliono andare contro il mondo, sfidare tutto e tutti. Quindi più che lanciare un messaggio allarmista sul gioco, cerchiamo di far riflettere partendo dalla realtà. Proponiamo anche alcune simulazioni: ogni studente fa una giocata e poi insieme commentiamo i risultati. Alla fine qualcuno ci dice: 'Ma allora c'è un solo modo per vincere: aprire un casinò'". Cioè mettersi dall'altra parte, stare con chi organizza il gioco e non con chi lo pratica. Conclusione paradossale, ma matematicamente fondata.

In questi anni Canova e Rizzuto hanno incontrato anche alcuni giocatori patologici. "Il nostro apporto – conclude Canova – non serve nel momento della crisi acuta, ma può tornare utile durante il periodo della riabilitazione, come strumento per valutare illusioni ed errori di prospettiva. Al termine dei nostri incontri, i giocatori provano rabbia, si sentono traditi, presi in giro da un sistema che li ha spinti nel baratro. E ci fanno una domanda ricorrente: 'Perché non siete venuti prima?'".     

Lorenzo Montanaro
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