Gli angeli del Bengala

Nel Bangladesh, piagato da miseria e calamità naturali, oltre il 50 per cento dei bimbi è povero. Spesso abbandonato a sé stesso. Tra chi li aiuta, spicca l'Unicef. Reportage.

Mitu e i suoi fratelli

03/06/2011
Ragazzine seguite dall'Unicef in una scuola all'aperto a Dacca, la capitale del Bangladesh (foto di Pino Pacifico/Unicef).
Ragazzine seguite dall'Unicef in una scuola all'aperto a Dacca, la capitale del Bangladesh (foto di Pino Pacifico/Unicef).

    Si chiama Mitu e ha 12 anni: è tutto ciò che sappiamo di lei. Il viso nascosto dai capelli neri, dorme a pancia in giù nel suo pigiama a fiorellini. Un pigiama pulito, in un letto pulito. L’unità mobile dell’Unicef per i bambini di strada l’ha salvata stanotte al porto vecchio di Dacca, la capitale del Bangladesh. Era drogata, attorniata da ragazzi e adulti che quasi di sicuro avrebbero abusato di lei. Così dura, se non addirittura tragica, può essere la vita dei bambini che vivono per le strade di questa caotica metropoli di 14 milioni di abitanti, dove 4 milioni di poverissimi affollano slum senza luce né acqua

    Adesso Mitu è al sicuro in un centro segreto. Verrà disintossicata e affidata a una comunità protetta dove crescere e giocare, studiare e recuperare un po’ della sua infanzia sfregiata dalla miseria. Ha raccontato un adolescente come lei agli operatori del centro segreto:«Quando fumo la droga, non soffro più. Mi sento volare in cielo. E quando vado a rovistare nelle discariche, non sento più la puzza». Perché le grandi aree povere di Dacca assomigliano a bolge dantesche, dove adulti e bambini si aggirano piegati dalla fatica e dalle privazioni.

Uno scorcio di Dacca, metropoli di 14 milioni di abitanti  (foto di Pino Pacifico/Unicef).
Uno scorcio di Dacca, metropoli di 14 milioni di abitanti (foto di Pino Pacifico/Unicef).

    L’Unicef stima in oltre 300 mila i minorenni che crescono nell’abbandono totale in Bangladesh, un Paese che rientra nelle classifiche delle nazioni più povere e più sovrappopolate del mondo. Quasi metà della popolazione, che supera i 160 milioni di abitanti, ha meno di 18 anni, e oltre il 50 per cento deibambini vive sotto la soglia della povertà:per intenderci, deve cavarsela con meno di 1,25 dollari al giorno. Il lavoro minorile, i matrimoni in età giovanissima, i rischi di abusi sessuali, la prostituzione minorile e le violenze sono realtà per molti di loro. Negli ultimi anni il Paese è in crescita, con un incremento annuo del Prodotto interno lordo del 6 per cento e un miglioramento in agricoltura, industria e servizi. Sono aumentati anche gli investimenti e l’attenzione per educazione e salute dei minorenni. Tuttavia si accentua pure la disuguaglianza, i poveri rimangono poveri. L’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, deve quindi intervenire su più fronti a favore dei tanti bambini che «dalla nascita combattono», come osserva il suo vice-rappresentante in Bangladesh, Michel Saint-Lot.

    A Dacca, come in tutto il Paese, è fondamentale la collaborazione con il Governo e con le Organizzazioni non governative locali. Il numero verde 1098 che ha permesso di salvare Mitu è solo la più recente delle misure congiunte per i bambini vulnerabili. Nella zona vecchia di Dacca, per esempio, entriamo in una delle dieci scuole all’aperto di quest’area, e i suoi 50 alunni sono per la maggior parte bambini di strada. Nel caldo soffocante della città, circondati da una cancellata che isola simbolicamente il loro spazio protetto da un caos di traffico e umanità ben poco rassicuranti, seguono con viso attento le lezioni che li preparano a entrare tra 6 mesi nella scuola pubblica. Qui trovano anche un pasto al giorno, visite mediche, educazione igienica e sanitaria.
    Non hanno occhi che sorridono facilmente, i bambini poveri di Dacca. In un altro centro per loro, nel quartiere di Baganbari, solo uno su due continuerà gli studi dopo i 6 mesi propedeutici. Molti lavorano già con i genitori, nel recupero di sacchetti di plastica poi imballati e spediti in Cina per essere riciclati. Gli assistenti sociali affiancano le famiglie per indurle a mandare i figli a scuola, e tuttavia sono famiglie che lottano per la sopravvivenza e contano sulle braccia in più, per quanto fragili e mingherline. «Noi vogliamo trasmettere il messaggio che il lavoro dei bambini è la scuola», sottolinea Michel Saint-Lot. «Ma è nella mentalità della gente pensare“Io sono povero, mio figlio sarà povero. È inutile mandarlo a scuola. Meglio che impari al più presto a lavorare”».
    Con scuole all’aperto, centri per bambini,comunità alloggio e case segrete, l’Unicef mette a punto modelli d’intervento integrato che il Governo potrebbe poi applicare su vasta scala. E segue due orietamenti metodologici: favorire la crescita dei minori vulnerabili fuori dagli orfanotrofi e prepararne il rientro in famiglia o nella comunità locale.

Aysha, 13 anni.  Il padre - un pescatore - morì ucciso dal ciclone Sidr, nel 2007. Studia grazie all'Unicef: "Voglio diventare insegnante" (foto di Pino Pacifico/Unicef).
Aysha, 13 anni. Il padre - un pescatore - morì ucciso dal ciclone Sidr, nel 2007. Studia grazie all'Unicef: "Voglio diventare insegnante" (foto di Pino Pacifico/Unicef).

    Un sistema che trova un’applicazione articolata nel Sudovest del Paese, nelle zone che s’affacciano sul Golfo del Bengala, dove il Gange e i suoi affluenti si gettano nell’Oceano indiano, dando vita a un maestoso delta. Nel 2007 e nel 2009 qui la natura ha colpito duro, con i cicloni Sidr e Aila che hanno causato rispettivamente 3.300 e 131 morti, e spazzato via le capanne di milioni di persone. I cambiamenti climatici hanno intensificato questi disastri naturali, che un tempo si verificavano ogni 25-30 anni e che ogni volta rendono più salina l’acqua e più deserte le terre.

    Per i bambini che Sidr e Aila hanno lasciato orfani di uno o di entrambi i genitori, i progetti che vedono la collaborazione di Unicef, Ong e amministrazioni locali intendono evitare la crescita in orfanotrofio. Il genitore solo, o la famiglia della comunità che accolga al proprio interno l’orfano, riceve per 19 mesi 20 dollari al mese, la stessa cifra spesa dal Governo per la retta in istituto. L’impegno è quello di far studiare il minorenne, non farlo sposare prima dei 18 anni, e non sottoporlo a lavori minorili a rischio.E dopo 19 mesi la metà delle famiglie non ha più bisogno di aiuti.

    Aysha ha 13 anni, ed è la maggiore di 4 figli. Suo padre era pescatore, nel 2007 fu travolto dal ciclone. Aysha dovette lasciare la scuola e lavorare come domestica ma ora, con il sussidio per i figli, la madre Baby Begum può mandarli tutti a scuola. Ha anche aperto un piccolo conto in banca per ciascuno di loro, acquistato due caprette e affittato un po’ di terra. «Studierò ancora per 7 anni, voglio diventare insegnante, impegnandomi nel campo dell’educazione», dice Aysha.

Hida, 14 anni, anch'egli orfano di padre: studia per diventare magistrato. L'Unicef lo aiuta (foto di Pino Pacifico/Unicef).
Hida, 14 anni, anch'egli orfano di padre: studia per diventare magistrato. L'Unicef lo aiuta (foto di Pino Pacifico/Unicef).

    A qualche chilometro da lei, su un lungofiume poverissimo e sovraffollato, il quattordicenne Hida si sta anch’egli impegnando per realizzare il proprio progetto: «Voglio diventare magistrato, è ciò che sognava mio papà ». Suo padre è un altro pescatore ucciso dal ciclone. Ha lasciato sette figli, e per ciascuno dei sei minorenni la vedova riceve 20 dollari al mese; oltre a provvedere alle necessità dei bambini, ha potuto acquistare due vacche e affittare, anche lei, un pezzo di terreno da coltivare. Per Aysha e Hida si è realizzato l’obiettivo immateriale ma decisivo che Michel Saint-Lot si augura per ogni bambino vulnerabile del Bangladesh: «Creare nuovi sogni nella vita verso i quali muoversi».

Rosanna Biffi
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