Gli angeli del Bengala

Nel Bangladesh, piagato da miseria e calamità naturali, oltre il 50 per cento dei bimbi è povero. Spesso abbandonato a sé stesso. Tra chi li aiuta, spicca l'Unicef. Reportage.

Kledi Kadiu, il Gange e il ritmo del cuore

03/06/2011
Kledi Kadiu tra i bambini di una scuola sostenuta dall'Unicef nel Delta del Gange (foto di Pino Pacifico/Unicef).
Kledi Kadiu tra i bambini di una scuola sostenuta dall'Unicef nel Delta del Gange (foto di Pino Pacifico/Unicef).

    Il ballerino Kledi Kadiu è ciò che sembra: un giovane uomo intelligente che il successo non ha guastato. Testimonial del Comitato italiano per l’Unicef dal 2009, ha voluto visitare i loro progetti in un Paese povero e difficile come il Bangladesh: «Lì ho capito quanto io sia stato fortunato. Io che sono nato in Albania; figuriamoci come potrebbe sentirsi chi è nato in Italia, o in Francia, o in Germania».

    Soprattutto è rimasto colpito dai bambini, con«i loro sguardi tristi e curiosi
. Ti guardavano da lontano e pian piano si avvicinavano, all’inizio con un po’ di timidezza o paura, specie nei villaggi. Poi però ti seguivano per tutto il tragitto, e alla fine non ti lasciavano più la mano. È ciò che dovrebbe succedere dappertutto: un gesto che unisce e fa sentire vicini».

Ancora Kledi tra i bambini del Bangladesh (foto di Pino Pacifico/Unicef).
Ancora Kledi tra i bambini del Bangladesh (foto di Pino Pacifico/Unicef).

    Kledi vive con molta responsabilità il proprio impegno con Unicef: «Di ciò che ho visto in Bangladesh parlerò con i miei amici e ovunque mi porterà il lavoro. Cercherò soprattutto di trasmettere ai ragazzi che incontrerò ciò che ho visto; non si tratta di convincerli, ma di toccare la loro sensibilità e la loro coscienza. È anche un modo per proteggere valori che perdiamo sempre più, come il rispetto, il dialogo, il sorriso. Questo viaggio mi ha fatto capire che certi valori sono le radici che mantengono forti e solidi una comunità, un Paese».

    Anche l’Albania comunista nella quale è cresciuto Kledi era un mondo duro, e i limiti patiti in prima persona l’hanno reso sensibile alle sofferenze altrui: «Quella in Bangladesh è stata un’esperienza assolutamente positiva della miavita. Ci ferisce guardare situazioni del genere. Il tempo poi guarisce le ferite, e quando queste ferite sono guarite bisogna farsi ferire di nuovo. Occorre andare a vedere, capire e raccontare a chi non è stato sul posto, perché sono situazioni che ti cambiano e guariscono un po’ l’anima».

Rosanna Biffi
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