Intervento don Antonio Sciortino

06/05/2010

IL COSTO DEI FIGLI Quale welfare per le famiglie?   don Antonio Sciortino, direttore Famiglia Cristiana   Rapporto Famiglia Cisf 2009 - Martedì 23 marzo
 
Oltre a darle il benvenuto, intendo ringraziarla, signor Presidente, per due ragioni. Primo, perché ha accettato di venire nella nostra sede, la sede di Famiglia Cristiana, per la presentazione di questo importante Rapporto sul costo dei figli, a opera del nostro Centro studi famiglia, su un tema di grande attualità. Non è un’invenzione della stampa e dei giornalisti che le famiglie sono in seria difficoltà e non ce la fanno più ad arrivare a fine mese. Dalla terza settimana ormai si sta arretrando alla seconda settimana. Ed è in aumento la povertà delle famiglie, soprattutto quelle con figli. Ne va di mezzo la stessa sopravvivenza del Paese.  La seconda ragione è più personale. Le sono grato per il messaggio che ci ha inviato, a nome suo e dei parlamentari della Camera, in occasione della morte di don Leonardo Zega, storico direttore di Famiglia Cristiana, ma anche colui che ha voluto questi Rapporti sulla famiglia, che hanno anticipato il dibattito nazionale su molti temi familiari. Il costo dei figli, quest’ultimo, è l’undicesimo Rapporto del nostro Centro studi famiglia.   Gli esperti esporranno più nei dettagli i risultati di questa ricerca. A me, come Direttore di Famiglia Cristiana, mi preme richiamare, tramite lei, l’attenzione di chi gestisce la “casa di tutti”, in vista del bene comune, perché attuino una vera politica familiare, che non c’è mai stata in questo Paese, che pur si riempie la bocca di famiglia. Ma che sia una politica familiare vera, strutturale, che non si limiti alle briciole delle Finanziarie (se pur avanzano), ai bonus o a provvedimenti una tantum. Le famiglie non hanno bisogno dell’elemosina, tanto meno ricevere come un favore o gentile concessione quel che spetta loro di diritto, come previsto agli articoli 29, 30 e 31 della nostra Costituzione.  Lei conosce molto bene i dati del crollo demografico dell’Italia, che pone il nostro Paese al più basso livello al mondo. Se non si inverte questa tendenza, il Paese si avvia, inesorabilmente, al suicidio. Senza bambini, siamo un Paese vecchio, senza speranza e futuro. La piramide della popolazione s’è rovesciata. Nei prossimi decenni il divario tra anziani e nuove generazioni sarà macroscopico: nel 2050 avremo 21 milioni di vecchi e superanziani a fronte di 8 milioni di giovani. Così il Paese non può stare in piedi.   Da tutte le ricerche, emerge che, in cima ai desideri delle nuove generazione, c’è sempre la voglia di famiglia e di figli. Ma i desideri si scontrano con le serie difficoltà a realizzare i progetti. Oggi mettere al mondo un figlio, in Italia, è una scommessa. Pensare a due figli, c’è da mettere in conto di scivolare nel tunnel della povertà, da cui difficilmente si esce.   Purtroppo, solo da noi è valida l’equazione: più figli uguale più povertà. Perché, altrove, i figli sono una ricchezza. E su di loro si investe davvero. La Francia destina il 2,5 per cento del prodotto interno lordo alle politiche familiari. In Italia siamo appena attorno all’1 per cento, al di sotto della media europea. E così difficile capire che se sta bene la famiglia, sta bene anche il Paese? E che se cresce la famiglia, cresce anche il Paese?   Sulla famiglia non ci si può dividere, perché appartiene a tutti e non è di parte. E’ interesse di tutti riconoscere l’importante ruolo sociale che essa ha nella società e nel Paese. I figli non sono un affare privato. Come a dire: che se la sbrighino le famiglie che li hanno messi al mondo. Ragionamento aberrante, questo, che va contro il dettato costituzionale, che prevede i sostegni necessari perché la famiglia possa svolgere al meglio il proprio ruolo.   Quanto a legislazioni, l’Italia è all’avanguardia, con punte di eccellenza, su tanti temi. Anche familiari. Abbiamo però un handicap: non riusciamo a tradurre nella pratica i bei principi. Alla famiglia si fanno tanto promesse, ma poi non si mantiene nulla. Come è avvenuto in occasione del Family Day a Roma.   All’inizio di questa legislatura, nel discorso programmatico del 13 maggio 2008, era stato annunciato un grande piano nazionale per la vita e la tutela dell’infanzia, cui destinare nuove e consistenti risorse al fine di incrementare lo sviluppo demografico. Famiglia, vita e infanzia – s’è detto - sono indispensabili per la crescita del sistema Italia. Erano annoverati tra le risorse e non nei costi. “Crescere”, si diceva ancora, “significa promuovere la famiglia come nucleo di spinta dell’intera organizzazione sociale”.   Risultato? Tutto di là ancora da venire.   Non stiamo meglio quanto al lavoro femminile: siamo sotto le media europea. E la donna lavoratrice al primo figlio è spesso costretta a dover scegliere tra maternità e professione. Mancano le reti di sostegno, che non vuol dire solo asili nido.   Così come il fisco non è equo con le famiglie, soprattutto quelle numerose. Si chiede alle famiglie di spendere di più per far ripartire i consumi, soprattutto in tempi di crisi, ma non abbiamo lasciato soldi nelle loro tasche. Forse, stiamo abusando della pazienza delle famiglie, cullandoci col fatto che “ammortizzano tutto”, anche le inefficienze pubbliche o i compiti che spetterebbero allo Stato.   Per non limitarci solo alle denunce, tutti i Rapporti sulla famiglia, e anche questo, offrono serie piste di riflessioni e indicazioni risolutive. Né si può ridurre tutto a una semplice questione economica, che pur è importante. Credo sia importante fare un’opera cultura e morale a favore e sostegno della famiglia. Se il Paese sta ancora in piedi è grazie alle famiglie, nonostante siano tanto bistrattate, e non solo per l’assenza di politiche familiari.   La famiglia deve tornare, prepotentemente, non solo nell’agenda politica, da cui è uscita, quasi fosse una cosa da rottamare, ma deve avere più visibilità e considerazione pubblica, e riconoscerle il ruolo fondamentale di cellula vitale della società.  

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