IL COSTO DEI FIGLI : QUALE WELFARE PER LE FAMIGLIE?
Intervento di Francesco Belletti, Direttore Cisf
Presentando questo Rapporto, prima di qualunque riflessione nel merito è per me doveroso ringraziare, sia pur brevemente, tutti coloro che hanno portato il Cisf a questo importante momento:
- il primo ringraziamento va a chi oggi non è con noi, perché richiamato alla Casa del Padre, a don Leonardo Zega, che all’inizio dell’anno ci ha improvvisamente lasciato. Lui è stato il primo e più convinto promotore del Rapporto Cisf, fin dal lontano 1989, e con lui e grazie a lui il Cisf è cresciuto fino a questo traguardo;
- il secondo va a don Antonio Sciortino,che ha ricevuto la pesante eredità di don Zega sia a Famiglia Cristiana che come Presidente del Cisf; a lui va dato merito per aver proseguito con la stessa convinzione e determinazione nel progetto del Rapporto Cisf; il ringraziamento va esteso a tutto il Gruppo Periodici San Paolo, che ha assicurato costante e convinto sostegno in tutti questi anni, anche economico. Non avremmo altrimenti potuto realizzare l’indagine di 4.000 interviste che oggi presentiamo nel Rapporto Cisf;
- un terzo ringraziamento va al Prof. Pierpaolo Donati, che fin dal 1989 non ha fatto mancare la sua preziosa collaborazione, regalando ai Rapporti Cisf – e a tutta la società italiana, a dire il vero – una capacità innovativa di interpretazione sociologica che ben pochi hanno oggi nel nostro Paese; anche in questo caso il grazie si estende a tutti gli esperti che hanno costruito i Rapporti in questi oltre vent’anni;
- non posso non ringraziare, ovviamente, lo staff del Cisf, che ha supportato e sopportato, in tutti questi anni, le periodiche “emergenze e frenesie” a sostegno del Rapporto;
- da ultimo, oggi un grazie sincero e non formale all’On. Gianfranco Fini, sia per la immediata disponibilità al nostro invito, sia per la valorizzazione del nostro appuntamento, per la carica istituzionale che ricopre e per l’equilibrio e il credito personale con cui la ricopre, in questi difficili tempi della politica italiana.
Dicevo che l’incontro di oggi è un momento importante nella storia del Cisf, carico di significati anche molto contrastanti, soprattutto nel tenere insieme continuità e novità:
- continuità, perché questo Rapporto è in fondo il “numero undici”,di una serie iniziata con la collaborazione delle Edizioni San Paolo – e ringrazio anche l’editore per questa importante storia comune -, che dal 1989 legge la famiglia nella società italiana, ed è oggi un punto di riferimento indispensabile per la ricerca scientifica, per la politica a tutti i livelli, per le associazioni familiari, per la Chiesa italiana;
- novità, perché questo Rapporto è nuovo, e ha almeno tre qualità diverse:
· in primo luogo il formato ed il linguaggio, più agili e divulgativi, per nel rigore e nella complessità dei temi da affrontare;
· in secondo luogo la ricerca: 4.000 interviste, un campione statisticamente rappresentativo a livello territoriale delle famiglie italiane, e soprattutto l’obiettivo di realizzare questa indagine ogni due anni, in modo da offrire al Paese dati affidabili, seri e specifici sullo stato di salute della famiglia in Italia;
· in terzo luogo un nuovo editore, FrancoAngeli, che ringrazio. Una scelta che vuole individuare nuovi destinatari, ad esempio l’università e il mondo laico, ma che rivendica la continuità del progetto anche con le Edizioni San Paolo – e anche questo è un ringraziamento che faccio volentieri, e in modo non formale.
Il tema specifico del Rapporto Cisf 2009 è il costo dei figli, concepito non in termini meramente economici ma in un quadro di scelte culturali, sociali e politiche, e proprio per questo è anche IL FUTURO DEL NOSTRO PAESE. Il titolo del Rapporto è infatti provocatorio: potremmo dirlo così, più correttamente: “Ma davvero i figli sono un costo?”
Dalle 300 pagine di dati, valutazioni, proposte politiche del Rapporto Cisf 2009 si possono evidenziare diverse questioni aperte, che abbiamo sintetizzato attorno a tre nodi essenziali: la situazione attuale, il costo reale dei figli, le sfide per un nuovo welfare relazionale.
La situazione attuale
L’economia ha mercificato il costo dei figli e fa una grande fatica ad uscirne. Il costo di un figlio viene comparato con quello di altri beni di consumo, quali un automobile, una seconda casa al mare, o fare un bel viaggio. Il bambino entra nel mondo delle merci, è una merce scambiabile con altre merci. Eppure la presenza di costi monetari e non monetari (tempo, opportunità di vita) costringe a pensare che se è vero che i figli hanno dei costi, non hanno però un prezzo, perché non sono beni vendibili o acquistabili sul mercato. Il costo dei figli deve essere cioè trattato come un “dato relazionale”, vale a dire calcolato in relazione al valore attribuito al bene perseguito.
Il figlio, quindi, come bene meritorio.
In questo senso la dignità e l’identità del bambino non hanno prezzo, sono valori “non negoziabili” (tanto meno in Borsa…). Ma a che cosa può essere confrontato il costo di un figlio? Chi lo pensa semplicemente come un dono, non sta a calcolare il prezzo!
Il 53,4% delle famiglie in Italia (24 milioni circa) non ha figli. Solo una minoranza di famiglie ha almeno un figlio. …
Il peso della riproduzione della popolazione cade su delle minoranze: cioè sul 21,9% delle famiglie che hanno un figlio, il 19,5% che ne ha due, il 4,4% che ne ha tre, mentre le famiglie con quattro figli o più rappresentano lo 0,7%. E ci si chiede: possibile che, con questi numeri, non si riesca a fare di più per sostenere le famiglie che hanno dei figli o che ne desiderano uno in più?
Un dato da considerare attentamente è lo scarto fra il numero medio dei figli avuti dagli intervistati, pari a 1,71, e il numero medio dei figli desiderati, pari a 2,13.
I dati dimostrano che da oltre trent’anni il comportamento riproduttivo della popolazione italiana non giunge ad assicurare il ricambio tra genitori e figli. …
Secondo i dati più recenti il tasso di fecondità totale è attualmente pari a 1,41 e deriva dalla media tra 1,33 figli per donna relativi alla popolazione italiana e 2,12 attribuiti alla componente straniera.
PER I FIGLI, IN EFFETTI, SERVONO:
- innanzitutto, una disponibilità economica sufficiente a garantire l’incremento delle spese che una famiglia deve sostenere con l’arrivo dei figli;
- il tempo su cui i genitori possono contare per occuparsi direttamente della cura;
- la presenza di una rete di servizi che possano affiancare la famiglia nel compito di cura.
1. Il primo raggruppamento può essere chiamato delle famiglie marginali (43,5% sul totale) perché si tratta delle famiglie di più basso status sociale, con le maggiori difficoltà economiche e il maggiore isolamento sociale. Esse si trovano soprattutto al Sud e in parte nelle Isole, anche se sono ben presenti anche in altre zone d’Italia. Vivono nei comuni di più piccole dimensioni. Si tratta di famiglie generalmente più anziane della media che spendono in media 546 euro al mese per alimenti e bevande, di cui 104,16 sono per i figli. La percentuale di spesa per i figli sul budget familiare mensile sta sul 35%. Sono le famiglie che vorrebbero aiuti dallo Stato nella misura del 41% circa, più di tutte le altre famiglie. Hanno un livello positivo di solidarietà interna, ma contano poco sull’aiuto degli amici e sono complessivamente molto più isolate degli altri due gruppi di famiglie. Il loro impegno civico è nullo o molto scarso, e gli impegni esterni nella comunità si rivolgono prevalentemente ad attività religiose.
2. Il secondo raggruppamento può essere chiamato delle famiglie adattative (38,5% sul totale) perché si tratta delle famiglie che mostrano i tratti ‘medi’ nelle qualità sociali ed economiche che andiamo considerando. Il loro status sociale è medio-alto e alto. Riescono ad arrivare alla fine del mese con una certa o sufficiente facilità. Si tratta di famiglie generalmente più giovani della media, con i figli tutti sotto i 18 anni di età. Spendono in media 565 euro al mese per alimenti e bevande, di cui 163,57 per i figli. La percentuale di spesa per i figli sul budget familiare mensile sta sul 40%. Hanno un livello decisamente molto elevato di solidarietà interna, che si accompagna al livello più elevato di aiuto da parte di amici e conoscenti. Sono complessivamente meno isolate delle precedenti, ma con un impegno civico contenuto, che sta nei dintorni di famiglia, le sue reti, le attività religiose e artistico-culturali.
3. Il terzo raggruppamento può essere chiamato delle famiglie modernizzate (18,1% sul totale) perché si tratta delle famiglie che, nella loro struttura relazionale e modalità di trattare i figli, mostrano tutti i tratti della modernizzazione, con i suoi risvolti positivi e negativi. Sono famiglie di status sociale alto e medio-alto. Si trovano nel Nord (soprattutto Nord-Est, e in misura minore nel Nord-Ovest) e nel Centro Italia. Hanno un minor numero medio di figli rispetto ai due gruppi precedenti, e precisamente 1,60. Sono le famiglie che arrivano con molta facilità alla fine del mese, e hanno un tenore di vita più elevato. Spendono in media 634 euro al mese per alimenti e bevande, di cui 292,16 per i figli. La percentuale di spesa per i figli sul budget familiare mensile si aggira intorno al 33%, che è la più bassa rispetto alle altre famiglie. Sono anche le famiglie che si accontentano di un sostegno minore da parte dello Stato rispetto alle altre famiglie. Gli indicatori della fiducia e solidarietà interna stanno a metà tra i valori delle famiglie marginali e di quelle adattative. Si impegnano in attività associative di vario tipo (beneficenza, artistico-culturali, politiche, sindacali e sportive), ma non di tipo religioso. Sono dunque le famiglie più laicizzate.
Nella tabella seguente (tabella 42, pp. 126-127) sono riportate le caratteristiche principali di questi tre sotto-insiemi in relazione alle domande della nostra indagine.
Tabella 42- I tre sotto-insiemi più significativi di famiglie italiane dal punto di vista del costo dei figli (analisi di cluster).
Il costo reale dei figli
Come riescono le famiglie ad arrivare alla fine del mese? Con grande difficoltà il 16,4% (area della povertà), con una certa difficoltà il 18,0% (area a rischio di povertà), con qualche difficoltà il 37,2% (strati sociali più bassi, ma sopra la linea della povertà), con una certa facilità il 22,4% (classi medie), con facilità il 5,3% (classi medio-alte), con grande facilità lo 0,8% (classi più elevate). Se analizziamo gli estremi, abbiamo il 34,4% delle famiglie nell’area delle difficoltà e il 28,4% nell’area della facilità ad arrivare alla fine del mese. La distribuzione dei redditi familiari sembra da Paese del Terzo Mondo. Il 60,2% della popolazione vive con un reddito familiare inferiore a 1.500 euro al mese. Ciò induce a pensare che, a parte gli anziani soli e le coppie di anziani i cui figli sono ormai grandi e autonomi, la popolazione italiana sopravvive decentemente proprio perché rinuncia ad avere figli.
Dai dati Istat emerge come non tutte le famiglie con figli siano in grado di garantire il mantenimento di uno standard di vita ritenuto “accettabile”. Il rischio di collocarsi sotto questo standard, e quindi di vivere in condizioni di “povertà assoluta”, aumenta al crescere del numero di figli. In particolare si osserva un evidente aumento del rischio per le famiglie numerose: quando nella famiglia sono presenti almeno tre figli l’incidenza di povertà assoluta è doppia (8,0%) rispetto a quella calcolata per il complesso delle famiglie italiane (4,1%) e tripla rispetto a quella stimata per le coppie con un solo figlio (2,6%).
La complessità che lega la scelta procreativa al costo dei figli richiede che venga chiarito che cosa si intende per costo dei figli: vengono in particolare definiti e misurati il costo di mantenimento (spesa per i soli beni necessari, quali casa, vitto, vestiario), il costo di accrescimento, che misura l’esborso reale per i figli, e il costo totale di accrescimento, dato dal costo di accrescimento più il valore del tempo dedicato alla cura dei figli, che raramente i genitori conteggiano esplicitamente, ma che sicuramente viene “valutato” per decidere se fare un figlio o meno.
- La spesa media mensile per i figli a carico è il 35,3% della spesa familiare totale.
- Il costo mensile di mantenimento del bambino (i soli beni indispensabili) in termini assoluti per la classe di età 0-5 anni è uguale a 317 euro (tab. 1, p. 177) e corrisponde ad un costo di mantenimento per figlio di circa 3.800 euro annui (p. 179).
- In media il costo di accrescimento di un figlio (che comprende anche il costo di mantenimento) è di 798 euro al mese (tab. 2, p. 189). In media le famiglie benestanti spendono per i figli circa l’83% in più delle famiglie povere” (p. 189). Siamo oltre i 9.000 euro annui di costo di accrescimento per il figlio.
Il tema dell’equità fiscale verso la famiglia riguarda il fatto che la famiglia sostiene i costi della riproduzione della popolazione, ossia del ricambio fra le generazioni, e dovrebbe essere riconosciuta in questo suo ruolo sociale. Lo Stato italiano, invece, non solo non riconosce questo ruolo alla famiglia, ma penalizza la famiglia che ha figli, e la penalizza quanti più figli ha. Si spiega così anche il fatto che le famiglie con figli in Italia siano diventate meno del 50% delle famiglie.
Per quanto riguarda la spesa sociale a favore della famiglia il confronto con gli altri Paesi europei evidenzia un chiaro scarto a sfavore dell’Italia che nel 2005 spendeva per la funzione famiglia e bambini l’1,1 percento del Pil, rispetto al 2,5 della Francia e il 3,2 della Germania: poiché un punto di Pil italiano vale 15,7 miliardi di euro (2008), colmare il divario rispetto alla Francia comporta una riallocazione di spesa pari a 22 miliardi di euro, che rappresenta una cifra impegnativa ma abbordabile, soprattutto se diluita su più anni e se si considera il suo elevato rendimento sociale.
Le sfide per un nuovo welfare relazionale
I figli non rappresentano un “bene” nel senso tradizionale dell’analisi economica, né sul piano privato né su quello pubblico, anche se è vero che una equilibrata struttura demografica produce benefici generalizzati per tutti, sia nei rapporti fra generazioni che per il futuro della nostra società. Piuttosto, i figli sono anzitutto la realizzazione di un “buon” progetto condiviso di vita familiare, cioè un bene comune, sia nel senso della sua natura pubblica e insieme privata che nel suo significato di desiderio di una nuova vita.
I figli sono il “bene comune” del nostro futuro, il beneficio sociale dei figli non può essere circoscritto alla sola sfera privata, pur essendo la decisione di procrearli quella più intima e privata: quindi la questione della natalità e dei figli investe la continuità e il futuro di una comunità sociale, come accade per qualunque realistica prospettiva di sviluppo sostenibile per l’Italia.
Ma il loro costo è oggi in gran parte responsabilità privata delle famiglie, anziché essere una condivisione sociale: di conseguenza il costo privato sostenuto dalle famiglie è troppo elevato e il “bene comune” del futuro rappresentato dai figli costituisce un rischio economico distribuito in modo non equo, né coerente con l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile e di una popolazione stabile.
Ipotizzare un nuovo welfare per i figli significa impostare le politiche pubbliche avendo un concetto relazionale, cioè generativo, delle nuove generazioni. Le nuove generazioni non sono “figlie della società”, in modo generico, ma sono figlie di famiglie a cui bisogna dare l’attenzione che meritano in quanto famiglie.
Urge una politica che sia orientata ai figli. Tutta la società, non solo lo Stato, deve farsi carico di un equilibrato ricambio generazionale, che includa gli immigrati, e sia generativo delle nuove generazioni. Il criterio fondamentale di questa svolta sta nel sostenere le relazioni familiari e la soggettività sociale della famiglia come tale nella cura dei figli, anziché nel sollevare gli individui dalle responsabilità verso i figli.
Quindi la nuova distinzione di base che fonda i criteri su cui viene costruito il nuovo welfare per i figli è “benessere relazionale” in alternativa al “benessere non relazionale”. Il suo slogan è “demercificare il welfare dei figli”. Per tale ragione, questo Rapporto raccomanda di valorizzare le relazioni di cura e di sostegno dei figli, in alternativa all’assetto dell’individualismo che punta a migliorare le condizioni materiali a scapito delle relazioni umane. Le politiche sociali relazionali nascono quindi da una nuova visione culturale della posizione dei figli nella società, e nello stesso tempo contribuiscono a creare questa nuova cultura dell’infanzia e dei giovani.