22/09/2012
I genitori sono «i primi e principali
educatori» dei loro figli. Essi hanno
il compito di «creare quell’ambiente
familiare vivificato dall’amore e dalla
pietà verso Dio e verso gli uomini che
favorisca l’educazione completa dei figli
in senso personale e sociale».
L’educazione in famiglia è questione
di ambiente: in specifico cosa significa?
L’uomo è colui che riceve la vita
da ciò che respira e da ciò che lo nutre,
è néfesh, cioè gola, ovvero la parte
del corpo che consente il passaggio
dell’aria e del cibo. Il bambino prima
di tutto si nutre di ciò che i suoi genitori
vivono, impara nutrendosi. Per
non parlare dell’adolescente che ha
le antenne stabilmente sintonizzate
sulla coerenza o incoerenza dei genitori.
Mi pongo dunque dal punto di vista
del rapporto qualitativo della coppia
coniugale, sicura che la via migliore
per educare i figli consista nell’educare
i genitori. Di seguito, consideriamo
alcuni nodi critici di adulti postmoderni
che impediscono ai figli una
compiuta personalizzazione:
1 - Paradossalmente, in un tempo di
individualismo esasperato, la coppia è
percepita più come fusione simbiotica
che come alterità. In tal modo, a
reggere il rapporto è il tentativo di perpetuare
l’innamoramento più che assecondare
la nascita dell’“amore che
resta”, che spesso viene invece scambiato
per la fine dell’amore. Una conflittualità
isterica e rancorosa si staglia
inevitabilmente all’orizzonte, si cercano
vie di fuga dalla coppia e inevitabilmente
dai figli, i quali cresceranno credendo
all’amore come passione travolgente,
irrazionale, ingestibile e, in ultima
analisi, inaffidabile.
2 - La coppia come reciprocità del
maschile e del femminile è in estrema
difficoltà. Non solo perché sempre di
più altri modelli vengono proposti come
altrettanto efficaci e legittimi, ma
anche perché l’ideologia di genere,
estrema soluzione del femminismo radicale,
ha liquefatto i confini tra i sessi
rendendo debole la spinta erotica che
invece ha bisogno della differenza sessuale
per essere. Un eros debole è incapace
di aprirsi all’agape rendendo la
coppia instabile e confusa rispetto a
identità, competenze e ruoli. I figli
avranno difficoltà nei confronti
dell’assunzione conscia della propria
identità sessuale senza la quale nessuna
scelta vocazionale è possibile.
3 - Venuta a mancare l’indissolubilità
come strutturale alla promessa
d’amore, essa ha trovato una nuova
via nella relazione genitori-figli. Sempre
più i secondi
rappresentano per
i primi il vero investimento
emotivo
compensatorio,
troppe volte, di un
rapporto coniugale
rotto. Così il figlio,
invece che essere
il frutto di
una relazione
d’amore, si trova,
suo malgrado, a ricoprire
il ruolo di
vero partner di
uno dei due genitori,
fino a essere,
concretamente, tenuto per anni nel
lettone coniugale per evitare qualsivoglia
approccio intimo da parte dell’altro
coniuge. Una confusione di ruoli
che genera nel figlio l’idea di una famiglia
dai toni indistinti, conflittuale e
simbiotica al contempo. Come farà a
definirsi in una vocazione compiuta?
4 - Infine, non va sottovalutato come
in chi si sposa o convive, l’idea di fedeltà
è spesso scalzata da quella di autenticità.
Mentre la fedeltà rimanda a una
promessa iniziale che costituisce la cornice
salda e interpretativa in una biografia
in continuo divenire, l’autenticità
non rinvia a nessuna promessa, ha a
cuore solo la fedeltà a sé stessi nell’attimo,
e ha come termometro il sentire.
È vero solo ciò che si sente adesso. Così
l’autenticità è il “cavallo di Troia” della
fedeltà. Questa sorta di precariato esistenziale
ha come effetto sui figli il formarsi
di una certezza: che nella vita
non è possibile compiere scelte irreversibili
come il matrimonio, la consacrazione,
perché nulla è definitivo ma tutto,
al contrario, è reversibile.
Roberta Vinerba