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Un libro contro il potere

Giuseppe Lupo
Giuseppe Lupo

Milano, 1630: durante l’epidemia di peste che infesta la città due uomini vengono ingiustamente accusati di essere untori, propagatori del contagio; vengono arrestati, atrocemente torturati fino alla confessione e condannati a morte. Alessandro Manzoni rimase colpito da questa vicenda giudiziaria: durante il lungo lavoro su I promessi sposi, prese in mano il caso, ne studiò a fondo tutti i documenti, fino a scriverne un libro, una ricostruzione in forma di asciutta cronaca giudiziaria dal titolo Storia della colonna infame.

«Con questo libro, che è molto particolare, si può dire che sia cominciato il genere dell’inchiesta giudiziaria. Anche Leonardo Sciascia scrisse un saggio sulla Storia della colonna infame e si avvicinò a Manzoni: per lo scrittore siciliano era fondamentale il rapporto tra letteratura e giustizia». A commentare l’opera manzoniana è Giuseppe Lupo, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università Cattolica di Milano e Brescia, saggista e scrittore: il suo ultimo romanzo, L’ultima sposa di Palmira, del 2011, è stato finalista al Premio Campiello.

Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni

– In che senso la Storia della colonna infame è un libro particolare?

«Contiene tutto il travaglio dello scrittore: dopo I promessi sposi Manzoni mette in crisi la formula del romanzo come componimento misto di storia e invenzione. Lo scrittore è roso dal tarlo dell’insoddisfazione: del resto, avere ripensato la sua opera più grandiosa, I promessi sposi, per vent’anni, è segno di sfiducia e insoddisfazione. A un certo punto, Manzoni abbandona l’invenzione per privilegiare la verità storica. La Storia della colonna infame segna il fallimento del romanzo storico. È un atto di fiducia estrema dello scrittore alla verità del documento».

– Alla base di questo libro c’è un profondo problema etico e cristiano...

«Tutte le opere manzoniane sono guidate da un problema etico, il modo in cui l’uomo si pone di fronte alla storia. Nella Storia della colonna infame Manzoni critica l’obbedienza alla superstizione, che durante la pestilenza crea la paura degli untori, ma soprattutto rivolge un atto di accusa verso chi detiene il potere, i magistrati, che pur avendo gli elementi per affermare la verità finiscono per assecondare l’ignoranza collettiva. Manzoni si pone il problema, fortemente cristiano, della coscienza individuale, della responsabilità personale che ognuno assume di fronte alla storia e alle scelte».

– Pensa che sia un’opera ingiustamente trascurata?

«Sì, è un libro poco letto, ma molto interessante, perché pone problemi molto attuali. Per esempio, il rapporto tra i singoli cittadini e il grande ordigno dello Stato che si scatena contro di loro. Negli anni Sessanta si è sviluppata una filmologia che denunciava proprio le vessazioni della macchina dello Stato sul cittadino. A scuola, purtroppo, Manzoni si studia in modo tale che gli studenti finiscono per odiarlo. Poi, magari, viene riscoperto e apprezzato anni dopo, come ho fatto io».

– All’inizio del 2013 uscirà il suo nuovo romanzo. Ci anticipa qualcosa?

«Lo avevo in mente da quindici anni. È un romanzo di guerre, viaggi e amori ambientato nel Quattrocento: un periodo storico non facile per me che sono abituato a scrivere sul Novecento. Ma un autore deve cimentarsi con nuove sfide. È una storia che passa per Venezia, Mantova, Milano, la Francia, e che, come tutti i miei romanzi, parte da verità storiche per arrivare all’invenzione. Mi piace pensare alla letteratura come visita di luoghi immaginari. La chiave di lettura dei miei libri è il sogno della storia. E la letteratura è il luogo dove la storia si può sognare».

"Storia della colonna infame" di Alessandro Manzoni. Questa settimana in edicola con Famiglia Cristiana.
"Storia della colonna infame" di Alessandro Manzoni. Questa settimana in edicola con Famiglia Cristiana.

Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin

Utilizzando lo spazio commenti e senza superare le 1000 battute, rispondi a questa domanda:

«Manzoni racconta un caso di colossale ingiustizia. Vi è mai capitato di provarla sulla vostra pelle?»

Per ognuno dei 13 volumi della collana BUC - I narratori, "sfidiamo" i lettori a inviarci un loro racconto sul tema del libro della settimana.

La redazione di Famiglia Cristiana ogni settimana sceglierà il racconto migliore, che verrà premiato con un cofanetto di 13 Dvd con i grandi capolavori di Charlie Chaplin.

Pubblicato il 01 agosto 2012 - Commenti (2)

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Postato da Galvanor il 25/08/2012 18:31

Che cosa è, la storia dell’Umanità, se una lunga sequela di gravi “ingiustizie”? Tutti anelano “Giustizia”, salvo poi tradirne quotidianamente i dettami perché, le regole, un po’ ovunque, devono valere principalmente per “gli altri”. Nel mondo valgono i rapporti di forza, non certo i sacri principi della Giustizia e le leggi, ovviamente fatte dagli uomini, rappresentano lo specchio fedele di quest’assioma, perché spesso sono concepite “contro” la Giustizia e non per la sua affermazione. Sarebbe bella e interessante una disamina storico-sociologica, sull’argomento, ma si correrebbe il rischio di finire fuori tema. Mi limiterò, pertanto, (ora con il sorriso sulle labbra, affettuosamente e senza risentimento, ma allora…!!!...) a citare una delle più macroscopiche ingiustizie che hanno vessato la mia esistenza. Correvano gli anni Ottanta e, come tutti i miei coetanei freschi di studi, mi guardavo intorno per entrare nel mondo del lavoro. Ciascuno, per la verità, utilizzava i metodi che riteneva più congeniali al proprio modo di pensare e i più, è storia nota, s’infilavano nelle segreterie politiche dei partiti importanti, avviando quella classica trafila che, poi, secondo i casi, consentiva successi direttamente proporzionali ai vari poteri coinvolti nell’operazione. Io avevo fatto altre scelte, militavo nel MSI, e quindi potevo fare affidamento solo sulle mie forze. Nonostante l’ostracismo riservato a tutti quelli che cantavano fuori del coro, devo dire che me la cavai abbastanza bene. Era prassi consolidata, in quegli anni, specialmente nel Sud, partecipare ai concorsi pubblici. Il primo fu alle “Ferrovie dello Stato” (allora si chiamavano così). Una cosa mostruosa: diecimila e più candidati per poche centinaia di posti. Mi andò bene: fui addirittura tra i primi e, gaudente, mi recai a Bologna, dove avrei dovuto prendere servizio. Sorpresa. A quanto pare, non me n’ero mai accorto fino allora, non riesco a distinguere in modo impeccabile il verde dal marrone. Non è daltonismo, ma una leggera discromatopsia, sufficiente, tuttavia, a infondermi la prima grossa delusione della mia vita. Pazienza: nelle Ferrovie, ci mancherebbe altro, la vista deve essere perfetta. Partecipo, quindi, a un altro concorso: Poste Italiane. Lo vinco e prendo servizio, questa volta senza problemi: alla visita medica i colori dovetti riconoscerli con i rotoli di cotone e non in quel terribile libro che hanno gli oculisti, con i numeri nascosti tra tante macchioline. Più o meno nello stesso periodo, però, avevo partecipato a un concorso ben più importante, bandito dal Ministero dell’Interno: 400 posti di Segretario Amministrativo. I primi dieci classificati, era scritto nel bando, sarebbero stati assegnati al Ministero. Gli altri alle sedi periferiche: Questure e Prefetture. Mi classificai tra i primi dieci e, felicissimo, mi accinsi a dare le dimissioni dal Ministero delle Poste, sognando una splendida carriera all’ombra del Cupolone. Sorpresa. Sovvertendo ogni normativa già varata, i “Padroni del Vapore” decisero di invertire la rotta a viaggio già iniziato: non i primi dieci sarebbero stati assegnati a Roma, bensì gli ultimi dieci! Chissà perché. Io fui assegnato a Verona e, dopo reiterate rimostranze, ebbi una sorta di sconto a favore di Siena. Fu la prima grossa ingiustizia della mia vita e lasciò il segno. Poi, in seguito, con le ingiustizie ho imparato a conviverci. (Lino Lavorgna)

Postato da Cino da Pistoia il 05/08/2012 18:16

Sì.

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