Ma i giovani sanno ancora pensare?

Un convegno che si terrà domani alla Cattolica di Milano, promosso da Pubblicità Progresso, lancia l'"Allarme pensiero". L'intervento e le proposte dell'esperto Alberto Contri.

Più romanzi, meno Tv

18/01/2013
I giovani oggi si connettono contemporaneamente con più strumenti (Thinkstock).
I giovani oggi si connettono contemporaneamente con più strumenti (Thinkstock).

Ci preoccupiamo di insegnare di tutto, ai nostri figli, fuorché a pensare. Con il risultato che sono capaci di fare tante cose, più o meno bene, ma non di analizzare in maniera critica un problema, di esprimere compiutamente un pensiero, di strutturare un ragionamento. È come se avessimo dotato i giovani di tanti strumenti, in grado di svolgere mille funzioni, ma ci fossimo dimenticati di accludere il libretto delle istruzioni. E l'avvento delle nuove tecnologie, con la loro pervasività, per altri versi portatore di novità positive, di certo non aiuta. È il momento di lanciare l'"Allarme pensiero", come recita l'incisivo titolo di un convegno che domani vedrà impegnati esperti di diverse discipline all'Università Cattolica e promosso da Pubblicità Progresso e Spaee, il Servizio di psicologia dell'apprendimento e dell'educazione in età evolutiva dello stesso ateneo.

Avete mai osservato, ad esempio, come guardano la televisione i ragazzi? Si sintonizzano sulla loro trasmissione preferita, ma non si accomodano su una poltrona, tutt'al più con la tazza del caffè o il giornale in mano, come faremmo noi adulti. No, oltre alla Tv, accendono il computer: in diretta, attraverso Internet, reperiscono informazioni sui personaggi, sulle trame, sulle "citazioni", mentre ne discutono con amici e coetanei sui social network. Gran parte del loro tempo si consuma davanti a uno schermo: televisivo, di un pc, di un cellulare (sempre più simile a un computer), di un tablet, di una consolle per videogiochi. Spesso anche mentre fanni i vecchi compiti per casa su un vecchio quadernone o un libro, continuano a interagire con questi supporti.

Demonizzare le nuove tecnologie sarebbe inutile, controproducente e anacronistico.

Il problema è: imparare ad utilizzarle con intelligenza, riducendo al minimo gli effetti collaterali ed esaltandone quelli positivi. Un tema che dovrebbe essere centrale quando si parla di introduzione delle tecnologie nelle scuole: far passare l'ingresso di lavagne elettroniche, Limbook (libri in versione digitale), tablet e altro nella classi come una rivoluzione, senza chiedersi se la scuola insegni a usare correttamente questi strumenti, è fuorviante e poco onesto.

Una famiglia "multitasking" (Corbis).
Una famiglia "multitasking" (Corbis).

Merito del Convegno "Allarme pensiero" è anzitutto quello di attirare l'attenzione su tali questioni. "Gli studenti sanno sempre meno ragionare in modo strutturato, argomentato e critico?", è l'interrogativo sollevato nel sottotitolo. Esiste ormai un affidabile numero di studi che ha dimostrato come il nativo digitale acquisisca una lettura più veloce, ma meno profonda. È in grado di scorrere rapidamente da un'immagine e una notizia all'altra - come appunto accade nella navigazione del Web - ma è in difficoltà nell'analizzare a fondo i contenuti, nello stabilire connessioni con altri concetti, nell'esprimere una valutazione personale, critica e argomentata. È inoltre dimostrato che la capacità di concentrazione diminuisce in seguito ad un'assidua frequentazione degli strumenti digitali: viene meno la "pazienza" di soffermarsi su un concetto, un'immagine per cercarne i significati, perché la stimolazione verso il nuovo è continua e pressante. Dopo aver fatto una ricognizione della situazione, il convegno si prefigge di avanzare qualche ipotesi di soluzione. Nella pagina successiva proproniamo qualche stralcio dell'intervento che terrà domani Alberto Contri, presidente di Pubblicità Progresso e docente di Comunicazione sociale all'Università Iulm di Milano.

Proviamo ad aggiungere qui qualche idea. La prima è quella di copiare quanto sta accadendo nelle più prestigiose università americane, Harvard e Princeton in particolare. Tutti gli studenti, compresi quelli che frequentano corsi di materie tecniche e scientifiche, sono chiamati a dare alcuni esami di letteratura, quindi a leggersi un certo numero di romanzi, sui quali dovranno poi lavorare in maniera critica (analisi del testo, sintesi, ecc.). L'illuminato ragionamento dei dirigenti di quegli atenei è che a tutti, compresi i futuri ingegneri, economisti, tecnici, sarà utile un approccio critico, flessibile, al tempo stesso analitico e sintetico, ai problemi. Se le discipline scientifche garantiscono contenuti e saperi necessari, quelli umanistici forniscono invece strumenti intellettivi che formano il pensiero.

Qualche tempo fa l'Unesco promulgò una Raccomandazione ai Governi, affinché inserissero lo studio della filosofia nelle scuole, fin da quelle primarie. "Filosofia, una scuola di libertà" era il titolo della Raccomandazione. Fare in modo che il bambino impari - peraltro assecondando un'innata predisposizione alla meraviglia e alle domande - a usare il proprio pensiero, accostarsi in maniera critica a un contenuto, qualunque esso sia, esprimere correttamente le proprie idee significa aiutarlo a diventare una persona compiuta e intelligente e un cittadino responsabile.

Sarebbe bello che nei programmi dei politici questi temi trovassero un po' di spazio.

Info:"Allarme pensiero"sabato 19 gennaio, Università Cattolica di Milano.

Paolo Perazzolo
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