23/07/2010
Siamo nel 1953 negli Stati Uniti. Boris Levinson è un neuropsichiatra infantile che da tempo si prende cura di un bambino autistico. Un giorno, osservandolo giocare col suo cane, si accorge che qualcosa della complicata matassa nella mente del bambino si scioglie e si semplifica nei gesti e nelle carezze nei confronti dell’animale, che pareva facilitarlo nell’esprimere le proprie difficoltà altrimenti inesprimibili.
Levinson saràil primo nel 1961 a parlare di pet therapy nel suo lavoro II cane come coterapeuta. Da allora i concetti scientifici intorno ai “pet”, nella cultura anglosassone cani, gatti, ma anche tartarughe e pesci rossi che vivono in casa, si sono evoluti per spiegare, anche attraverso la pet pedagogy, che «il rapporto con l’animale può davvero entrare nel vissuto del bambino o dell’adolescente e facilitarne la crescita, lo sviluppo psichico e morale e anche divenire aiuto, appoggio, in situazioni difficili e complesse nella quotidianità», come spiega Massimo Bettetini, psicoterapeuta e autore di Amici pelosi e altre bestie (San Paolo), sulle pagine del bimestrale Famiglia Oggi che ha dedicato la monografia del numero di giugno-luglio a “Gli animali e l’uomo”.
Non si può dire che questo rapporto fondamentale non susciti, quasi ogni giorno, dibattiti e anche polemiche che si sovrappongonoa episodi curiosi come quello del presidente americano Barack Obama, che è stato criticato dagli animalisti per essersi liberato di una fastidiosa mosca che gli ronzava intorno durante un’intervista televisiva. Ma se da allora alla Casa Bianca è stata inviata una macchinetta che consente di catturare gli insetti senza sopprimerli, non altrettanto può essere detto a tutela di tanti altri animali, visti i numerosi sequestri di cuccioli avviati a operazioni di vivisezione dolorose e spesso illegali.
Cresce continuamente, infatti,il numero di chi ogni giorno denuncia le violenze e si prodiga per sottrarre cani e gatti a tante sevizie e a una morte atroce. In qualche caso tra i destinatari delle preoccupazioni ci sono anche maialini offerti in premio alle regate (come è accaduto a Venezia) o cagnolini terrorizzati dal rumore dei fuochi d’artificio (Ferrara) e persino colombe (come nel caso della palombella di Orvieto). Purtroppo, talvolta lo zelo animalista si è spinto a equiparare dignità e vita degli animali a quelle degli uomini, suffragato da pensatori che, come Peter Singer, hanno polemizzato contro lo specismo occidentale, considerato una variante del razzismo.
Chi lo critica vorrebbe abbattere oltre alle barriere della razza anche quelle della specie.«Dire che gli esseri umani sono responsabili degli animali non significa che siano identici a noi», scrive su Famiglia Oggi (www.famigliaoggi.it) Carmelo Vigna, docente di Filosofia morale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. «La vita animale è una straordinaria risorsa del pianeta: oggi non fa problema questa convinzione, che è patrimonio comune,ma l’atteggiamento di noi umani nei confronti degli animali. Si oscilla tra gli estremi di un comportamento predatorio oppure iperprotettivo. In entrambi i casi cani, gatti e tutti gli altri sono di fatto usati e non rispettati come tali. Occorre riconoscere le analogie che ci sono tra noi e la differenza che è il logos, il pensiero, la parola, la ragione, perché un cane può benissimo conoscere la strada di casa, ma non possiede il concetto di strada. Su questa constatazione si fondano la cura e il rispetto che dobbiamo a questi compagni di vita preziosi».
Giusi Galimberti e Renata Maderna