Bambini iperattivi, oltre le polemiche

Un recente convegno ha provato a fare luce sul disturbo da deficit di attenzione (ADHD), che colpisce soprattutto i bambini e gli adolescenti. Diffusione, diagnosi e terapie.

Dall'infanzia all'età adulta, passando per l'adolescenza

11/05/2012

L’ADHD risulta uno tra i disturbi psichiatrici più comuni e diffusi tra i bambini e gli adolescenti, sebbene ancora sotto-diagnosticato e non sempre adeguatamente trattato. Ecco qualche dato significativo: l’incidenza mondiale è pari al 5,3%, quella relativa all’Unione Europea si assesta attorno al 5%. Tenendo conto della distribuzione in percentuale, si può ipotizzare, dunque, che circa 5 milioni di bambini e adolescenti in Europa siano affetti da ADHD.

In Italia, tenendo conto di studi svolti tra il 1993 e il 2003, per la popolazione che va dai 6 e ai 18 anni si è riscontrata un’incidenza del disturbo pari all’1% (dove la frequenza maggiore si registra più per i maschi che per le femmine): si contano, dunque, circa 75.000 casi di ADHD. Di questi, tuttavia, solo 3.000 (4%), o poco più, vengono accertati con accuratezza all’interno di una diagnosi. Siamo lontani da ciò che accade in altri Paesi europei. In Francia, ad esempio, rispetto a una stima di 473.408 segnalazioni, si raggiunge una diagnosi completa nel 17% dei casi (80.479); mentre in Spagna, su una percentuale stimata del 5% sull’intera popolazione infantile e adolescenziale, si effettua una diagnosi nel 59% dei casi.

L’ADHD si rintraccia più frequentemente nei maschi che nelle femmine, anche se queste ultime presentano alcune differenze nelle modalità in cui la patologia si manifesta. Rispetto ai bambini, infatti, le bambine hanno meno probabilità di mostrare comportamenti dirompenti e difficoltà nell’apprendimento. Questo aspetto, a volte, potrebbe rallentare il processo diagnostico.

Ma il disturbo da deficit di attenzione non si arresta all’età infantile. Un frequente luogo comune lo dipinge come una problematica che può affliggere solo i bambini. Invece, dagli ultimi studi epidemiologici internazionali a nostra disposizione, risulta colpire anche circa il 2% della popolazione mondiale adulta. E, inoltre, un’elevata percentuale di bambini con ADHD (attorno al 65%) può mantenere gli stessi sintomi anche in età adolescenziale e adulta. «Nonostante per molti anni il suo impatto sulla vita adulta sia stato sottovalutato, è ormai ampiamente dimostrato che il disturbo si protrae ben oltre l’adolescenza», spiega con più attenzione Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli di Milano, intervenuto il 18 aprile scorso a Milano al Convegno: Facciamo luce sull’ADHD. Come diagnosticare e gestire il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività nel bambino e nell’adulto. «Un bambino con ADHD, se non curato, può diventare un adolescente con disturbi della condotta sociale, con conseguenze anche di carattere penale, e una possibile predisposizione a patologie correlate e all’abuso di sostanze psicotrope» precisa Claudio Mencacci. Dall’età infantile a quella adulta, quindi, «l’ADHD permane, in forma conclamata, in circa il 15% dei pazienti e come presenza di sintomi minori nel 50%, mentre la remissione totale del disturbo si stima solo nel 35% dei casi. La prevalenza negli adulti è intorno al 3-4%».   

In una rassegna che ha sintetizzato i risultati di circa 340 ricerche pubblicate, infine, risulta che i pazienti con ADHD non adeguatamente trattati mostrano, con la crescita, un impatto negativo a lungo termine in tutte le principali attività della vita come la scuola, l’apprendimento e l’istruzione (la difficoltà nello studio e il conseguente abbandono raggiungono quote elevatissime in questi soggetti), il lavoro, il comportamento, le funzioni sociali, l’autostima e la salute nel suo complesso.

Simone Bruno
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