La Chiesa e le coppie in crisi

Separati e divorziati che vogliono mantenere un rapporto con la Chiesa e con i sacramenti si trovano spesso a disagio. Un dialogo che cresce. La pastorale nelle diocesi.

La verità e la misericordia

29/07/2011
Monsignor Livio Melina.
Monsignor Livio Melina.

La disciplina ecclesiastica, che nega la possibilità della Confessione sacramentale e della Comunione eucaristica per i separati o divorziati che abbiano iniziato una nuova relazione, suscita talvolta sofferenze tra i fedeli e la stessa Chiesa ed è sovente oggetto di attacchi dal fronte laicista. Ma quali ne sono le motivazioni profonde?

     Ne parliamo con monsignor Livio Melina, teologo moralista e preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia di Roma.

– Professore, la Chiesa viene a volte accusatadi essere poco misericordiosa in nome della verità...

    «La verità non è un principio puramente umano, una dottrina o una legge imposti dall’esterno, ma ha per i credenti un unico nome, Gesù Cristo, che è allo stesso tempo misericordia, anche qui però non secondo un criterio umano di condiscendenza, fatto di compromessi. È misericordia fatta nella verità, dove misericordia e verità non sono princìpi astratti e disgiunti, e quindi contrapposti tra loro, ma essi, stando insieme in Cristo stesso, diventano la strada salvifica per tutti, anche per chi si trova in una situazione matrimoniale irregolare. Soltanto se misericordia e verità vengono colte insieme nella loro profonda radice unificata in Gesù Cristo può essere indicato un cammino di salvezza, altrimenti ci sono solo delle scorciatoie».

– Quale percorso di fede, allora, per i divorziati risposati?

     «Le limitazioni nella partecipazione alla vita sacramentale per i divorziati risposati non significano esclusione dalla vita ecclesiale. È un cammino, innanzitutto, di progressione nella comprensione della loro situazione. Il cammino di fede non è dato solo dalla Comunione eucaristica e dalla Confessione sacramentale, da cui sono esclusi per oggettiva incompatibilità, ma anche dall’itinerario comunitario e personale di ascolto della parola di Dio, di preghiera, di fraternità, di carità verso i poveri, a cui queste persone sono certamente chiamate. Si deve capire bene che non sono scomunicate e, pur se in situazione irregolare, hanno il diritto di godere di un’attenzione privilegiata, di essere cioè accolte e ascoltate dalla comunità cristiana. Le limitazioni servono quindi a sollecitare quella riconfigurazione della vita, secondo la verità di Cristo. Ci sono molte associazioni, movimenti ecclesiali, comunità parrocchiali e percorsi diocesani che si stanno muovendo in questo senso. Molto dipende anche dalla sensibilità dei sacerdoti, che devono, conoscendo bene le singole situazioni e la posizione della Chiesa, offrire a tutti quella guarigione autentica e quella salvezza che le persone nel profondo del loro cuore desiderano».

– Che significato hanno per la Chiesa quelle persone che restano fedeli al loro matrimonio, non cercando un nuovo partner?

     «Anche quando il matrimonio fallisce Dio resta fedele. Il matrimonio è un sacramento permanente: per la grazia, la presenza di Cristo sposo nella vita degli sposi rimane viva e attiva, quando non sia rifiutata. Questa presenza rende possibile a queste persone di rielaborare la propria storia, di darle un senso, di capire che la croce della fedeltà è fruttuosa perché la vita non finisce qui, la vita terrena si affaccia su quella eterna e i fallimenti, anche quelli più drammatici, devono essere visti dentro l’orizzonte pieno della salvezza. Pertanto, le persone che restano fedeli al proprio matrimonio o che, essendo state la causa di una rottura matrimoniale, si pentono e recuperano la fedeltà perduta, sono dei credibili testimoni dell’amore incondizionato di Cristo sposo per la Chiesa sposa».

Stefano Stimamiglio
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