Il nemico ti siede accanto

In una settimana ben cinque omicidi di donne da parte di ex partner. La violenza di chi non accetta i rifiuti e gli abbandoni è sempre diffusa. Ma si può e si deve affrontare.

Mi ha detto "sei la donna della mia vita" e mi ha accoltellato.

14/05/2013

«Mi sono sentita impotente. Bloccata dalla sua forza. Mi colpiva con una violenza inaudita, come se fosse posseduto da qualcosa di superiore. Pugni feroci in faccia. Calci alle gambe e alla pancia. Schiaffi a cascata sul volto. Era irrefrenabile. Alla fine, non contento, il coltello. Lucido e affilato. Ho visto il vuoto, mentre me lo affondava nel petto. Un dolore che non accennava a smettere. In quel momento ho pensato ai miei bambini. Mi hanno dato forza». Parole crude e struggenti, quelle di Anna (nome di fantasia). Trattengono una sofferenza atroce e faticano a non restituire un’immagine nitida della scena raccontata. Purtroppo, non sono estratte dalla sceneggiatura di un film drammatico. E non sono il frutto della fantasia di un bravo scrittore. Tutt’altro. Rappresentano il tentativo disperato di descrivere la sua esperienza. Vera fino in fondo. Una storia che non dimenticherà facilmente e i cui strascichi attraversano ancora i suoi sogni. E il suo sonno.

33 anni, 2 bambini di 7 e 3 anni, un matrimonio fallito alle spalle. Una vita di coppia come tante, in una vivace e operosa cittadina della Puglia, alle porte di Bari. Anna tenta di rialzarsi dopo una “frattura” non facile da sanare. Pian piano trova un lavoro, conosce un nuovo gruppo di amici e incontra Fabio (nome di fantasia). Un uomo. Più grande di lei di 7 anni. Maturo, sorridente e affabile. Finalmente una traccia di calda serenità in quel cielo cupo, gelido e coperto dal grigiore della battaglia legale avviata per la separazione e l’affido congiunto dei figli. Non sembra quasi vero. La sua gentilezza e il suo rispetto si oppongono all’insensibile superficialità del precedente compagno di vita. Iniziano a frequentarsi. Stanno bene insieme.

Ma in lei non succede nulla di più. Trascorrono appena tre mesi, ma Anna capisce. Non è l’uomo per lei. Non avverte il trasporto e il conseguente coinvolgimento. Lo vede e lo sente come un amico. Gradisce la sua compagnia e le sue attenzioni, ma niente di più. In lui accade il contrario. Se ne innamora, giorno dopo giorno, serata dopo serata. Fino ad arrivare a chiederle di più. Vuole definire la loro storia, capire se può avere un futuro. E i due lati del ponte non si incontrano. Le aspettative viaggiano su binari paralleli. Lei cerca di chiudere con delicatezza questa storia non ancora sbocciata. Lui, invece, cerca di sigillarla con un passo ulteriore. Un incontro, voluto da entrambi, offre l’opportunità per essere chiari.

«Era amareggiato, questo sì. Forse aveva progettato ben altro per tutti e due. Continuava a ripetermi che tra noi avrebbe funzionato, che eravamo fatti l’uno per l’altra. Ecco perché il mio discorso lo aveva turbato. Le sue attese erano crollate. Io non volevo continuare. Non ero ancora pronta per un legame duraturo», spiega ancora incredula Anna. «Eppure mi era sembrato tutto a posto. Ci eravamo comunicati i rispettivi sentimenti e lui mostrava di aver compreso, anche se la sua sofferenza era palpabile. E invece no! Il mattino dopo una nuova telefonata. Voleva incontrarmi. Diceva che era urgente. Fui costretta ad allontanarmi dall’abitazione dove stavo svolgendo il mio lavoro. Mi aspettava in macchina, con le stesse richieste della sera precedente. Ero la donna della sua vita e non potevamo lasciarci. Dovevamo tornare insieme e riprovare. Avremmo sciolto ogni dubbio. La mia risposta, espressa con molta calma, fu identica a quella del giorno prima: non potevamo più vederci. Un po’ di silenzio e poi la tragedia», racconta la donna. Dopo averla ferita con un coltello, la lascia in balia di sé stessa. Fugge impaurito.

Anche se distrutta e sconvolta da un gesto così violento e inaspettato, Anna trova la forza di reagire. Chiama i suoi genitori e riesce ad arrivare al Pronto Soccorso più vicino. Solo due centimetri più in profondità e il coltello avrebbe trafitto il suo cuore. Sostenuta da suo padre e da sua madre, riesce a sporgere una denuncia contro il suo aggressore. I carabinieri non hanno dovuto compiere molte ricerche: Fabio si costituisce spontaneamente. Siamo nell’ultima settimana di aprile. La mattina seguente si svolge il processo per direttissima, al termine del quale il giudice sentenzia la sua colpevolezza e stabilisce la pena: un anno e mezzo di detenzione. Il successivo patteggiamento, a fronte del quale si riconosce “pulita” la sua fedina penale, smorza i toni e affievolisce i termini della sentenza. Fabio può tornare in libertà. È incensurato.

Anche se la perizia psichiatrica ha rilevato una serie di disagi che andrebbero tamponati quanto prima. «Ha avuto uno scatto d’ira. Così mi hanno spiegato le autorità», commenta rassegnata Anna. «Ma non credo che un gesto di questo tipo possa essere giustificato. Adesso lui è tornato in libertà. E a me cosa succederà? Chi mi proteggerà? Tornerà a tormentarmi? Ho molta paura. Tremo al solo pensiero di rivederlo», conclude la vittima. E come non darle ragione? Una donna picchiata e maltrattata in questo modo non tornerà a essere subito serena. Ci vorrà del tempo per elaborare il trauma. Per lenire la ferita esterna e per prosciugare il dolore interno che questo episodio le ha procurato. Tutto questo mentre il suo aguzzino tornerà alla vita di sempre.

Simone Bruno

Orsola Vetri (a cura di)
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