25/10/2012
In molti paesi nel mondo esiste l’esperienza dell’adozione aperta, in cui il legame biologico non viene totalmente superato, dal punto di vista giuridico, da quello adottivo. Esiste dunque per l’adottato la possibilità, con modalità e schemi differenti, non solo di accedere alle informazioni sulla propria identità biologica ma anche la possibilità di avere contatti con i genitori naturali.
E’ proprio sulle ricerche fatte nell’ambito delle adozioni aperte che Alessandra Santona, psicologa e psicoterapeuta, ricercatrice presso l’Università Bicocca, ha lavorato per valutare gli esiti e l’impatto psicosociale del mantenimento del legame biologico nell’adozione.
«Dopo aver preso in considerazione più di 40 diverse ricerche», spiega Santona, «abbiamo potuto constatare che il risultato di queste esperienze non è mai uniforme, anche se avviene all’interno di percorsi di accompagnamento psicologico e sociale». I ragazzi che indagano sulla propria identità biologica vengono definiti dagli esperti “cercatori”. Si tratta prevalentemente di ragazze, che intraprendono la ricerca in due diversi momenti della vita: nell’adolescenza o nel momento in cui stanno per diventare madri.
«L’esito positivo di questa esperienza dipende da due fattori», avverte l’esperta. «Da un lato, è necessario che l’assenza del legame biologico sia stato intimamente elaborato e superato, e che la relazione con i genitori adottivi sia solida e gratificante. Chi intraprende una ricerca delle origini biologiche da persona non risolta, o perché è alla ricerca di una relazione sostitutiva rispetto a quella con la famiglia adottiva, rischia di sperimentare fortissime delusioni».
Benedetta Verrini