Dossier: droga e riabilitazione

Il 26 giugno, istituita dall'Onu, si celebra "La giornata contro l'abuso di droga e il traffico illecito". Ecco gli ultimi dati.

Il 26% dei tossico dipendenti hanno almeno un figlio

24/06/2011

«Il 32% dei tossicodipendenti in cura presso i SerT è convivente o coniugato, il 26% dei pazienti ha almeno un figlio: sono dati interessanti perché le percentuali non sono tanto dissimili da quelle relative ai ragazzi e alle ragazze di 30-32 anni che non hanno questi problemi». Alfio Lucchini, direttore del dipartimento delle dipendenze presso la Asl Milano 2 e presidente nazionale Federserd, la Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze, commenta così i dati emersi dalla ricerca Gfk Eurisko-Federserd condotta su 100 medici responsabili dei Sert italiani e 378 pazienti in trattamento con terapia agonista per dipendenza da oppiacei. «Ovviamente - aggiunge- c'è un'attenzione particolare da parte degli operatori su questo fenomeno: è necessario conoscere e capire bene, contattare i familiari e i minori per vedere le reali condizioni di vita.

Le cose funzionano se i farmaci vengono usati in modo corretto, se c'è un inserimento socio-relazionale e lavorativo buono, ma la tossicodipendenza da oppiacei presenta dei cicli, le ricadute sono sempre possibili. Pur dando l'idea di normalità culturale dobbiamo avere un'attenzione particolare nei confronti di queste famiglie». E, dati alla mano, il 23% dei pazienti dichiara di assumere sostanze illegali oltre o al posto del farmaco sostitutivo 1-2 volte al mese; il 7% e il 6% una o più volte a settimana, il 4% quotidianamente. 

Con una visione clinica emergono due principali casistiche, particolaremnte a rischio: «Quando entrambi i genitori sono tossicodipendenti. In questi casi possono nascere dei problemi suppletivi, perché in primo luogo è più difficile che entrambi stiano bene. Ci possono essere ripercussioni sui bambini e allora si potrebbe procedere a una segnalazione. In coppia sono le ragazze a essere trascinate verso la droga dai partner, ma quando si hanno problemi di questo tipo essere in due non aiuta, anzi fa l'effetto contrario». La seconda situazione riguarda «i casi di comorbilità psichiatrica che inducono a una particolare osservazione».  

L'età media di chi fa uso di sostanze è di 34 anni, ma il 34% ne ha meno di 29. Quando si inizia, e con che cosa? «I dati della ricerca presentata lo dicono chiaramente: in media i pazienti oggi in cura hanno cominciato ad assumere le droghe a 14 anni, il tabacco. A 15 anni sono passati alla canapa, a 16 all'alcol, a 18 alle anfetamine e all'LSD, a 19 all'eroina e all'ecstasy, a 20 alla cocaina e agli psicofarmaci».

La prevenzione? «Molto si sta già facendo, soprattutto in alcune regioni. Occorre implementare le campagne che riguardano tutte le sostanze, tabacco a alcol in primis, legali, che aprono le porte verso le altre, illegali. Ma negare a oltranza è controproducente: in preadolescena e adolescenza la sperimentazione fa parte dell'età, occorre stare vicini ai giovani, far capire loro le cose e parlare». Che cosa la preoccupa di più riguardo ai rischi che corrono i ragazzi? «L'alcol, l'idea di ricreazione che dà, di unguento, che fa apparire il mondo un po' ovattato: tutto sembra più facile, ma non è così. L'happy hour si può fare anche a base di analcolici».    

Maria Gallelli
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