Famiglie e preti, un'unica missione

Si è svolto a cavallo di fine aprile a Nocera Umbra il Convegno organizzato dall'Ufficio Famiglia della Cei. Come valorizzare le ricchezze presenti nei due ministeri.

Un volto di Chiesa che tanti attendono

17/05/2012
Presbiteri e famiglie, due vocazioni per l'unica missione (Foto Thinkstock)
Presbiteri e famiglie, due vocazioni per l'unica missione (Foto Thinkstock)

A 50 anni esatti dall’apertura del Concilio Vaticano II, definito dal Card. Agostino Vallini – Vicario di Roma, la Diocesi del Papa – «una vera pentecoste per la Chiesa e per il mondo», per la Chiesa italiana è giunto il momento di fare il punto su un tema delicato ma essenziale per le sfide che la famiglia e la Chiesa stessa si trovano a vivere oggi: il rapporto tra presbiteri e sposi. Abbiamo scritto sposi, e non solamente e semplicemente laici, perché il Catechismo della Chiesa Cattolica è molto chiaro al riguardo: «L’Ordine e il Matrimonio sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del Popolo di Dio» (n. 1534).

Purtroppo, dobbiamo spesso registrare una visione di Chiesa ancora troppo clericocentrica, nella quale agli sposi viene riservato, al massimo, il ruolo di semplici esecutori. Ma così, è difficile costruire vere comunità: «Difficile immaginare il rapporto tra un presbitero e la sua comunità senza la dimensione nuziale. Altrimenti è solo un ufficio, un compito burocratico», ha affermato don Paolo Gentili aprendo a Nocera Umbra la XIV Settimana di studi sulla spiritualità coniugale promossa dall’Ufficio Nazionale per la pastorale famigliare della Conferenza Episcopale Italiana, di cui è direttore, dedicata appunto alla relazione tra presbiteri e sposi. Ed ha proseguito richiamando  l’omelia che Benedetto XVI ha pronunciato lo scorso settembre al Congresso eucaristico di Ancona: «La famiglia è luogo privilegiato di educazione umana e cristiana e rimane, per queste finalità, la migliore alleata del ministero sacerdotale. Per questo, occorre saper integrare ed armonizzare, nell’azione pastorale, il ministero sacerdotale con l’autentico Vangelo del matrimonio e della famiglia». Due diversi ministeri, due diverse situazioni di vita che si devono integrare, uscendo da logiche di subordinazione e riconoscendo a ciascuno pari dignità, perché entrambi derivano dall’unico sacerdozio di Cristo.

«Il sacerdozio di Cristo è iscritto in tutti i battezzati, e i due sacerdozi – quello comune e quello ordinato – si realizzano nella reciprocità, non nella competizione. Solo insieme si rende credibile e efficace l’azione ecclesiale» ha affermato Ina Siviglia, docente di antropologia teologica a Palermo, in un intervento applauditissimo dagli oltre trecento partecipanti, presbiteri, coppie, religiose e seminaristi provenienti da oltre ottanta diocesi. Altrettanto stimolante il contributo di Xavier Lacroix, teologo laico francese, tra i maggiori esperti europei di matrimonio e famiglia, che ha tracciato un affascinante parallelismo tra Eucaristia e Matrimonio: «Entrambi implicano il dono del corpo. Dobbiamo superare la divisione tra corpo ecclesiale e corpo sponsale, perché l’Eucaristia è il sacramento della vita donata, ed anche il matrimonio è fondamentalmente questo». Ma quanto è diffusa nelle nostre comunità la consapevolezza delle ricchezze presenti nei due ministeri?  Certamente ancora troppo poco: ancora i presbiteri sono visti come gli “uomini del sacro”, mentre gli sposi sarebbero dediti alle “cose profane”. Perché? Mons. Mario Russotto, vescovo di Caltanissetta, è molto chiaro: «Sbagliando, pensiamo ai presbiteri e agli sposi come a due vocazioni diverse. La vocazione è una sola: è la vocazione all’amore, a Dio che è l’Amore perfetto. Poi ci sono le diverse vie che uno può percorrere, quella al matrimonio, che è inscritta nelle fibre di ciascuno, e quella di chi rinuncia all’amore per amore, ma che non è al di fuori della logica dell’incarnazione e dell’amore donato. Per questo, ogni prete dovrebbe essere per così dire affidato ad una famiglia».

Gli ha fatto eco Mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma e presidente della Commissione episcopale per la famiglia: «I tre compiti fondamentali del presbitero – reggere, insegnare, santificare – sono gli stessi che i coniugi hanno nella Chiesa domestica. Dall’unica croce di Cristo scaturiscono sia la carità pastorale (del presbitero) che l’amore coniugale. È allora fondamentale trovare dei luoghi e degli spazi di incontro, non casuali ma programmati e innovativi, in cui sostenersi ed anche correggersi a vicenda. La famiglia può aiutare il prete a restare agganciato alla realtà, a fare in modo che nelle nostre comunità si respiri un’aria sana». Ed ha concluso con quella che può essere una formidabile indicazione per il cammino della “nuova evangelizzazione” a cui tiene particolarmente Benedetto XVI: «Una ministerialità di comunione tra presbiteri e sposi offre una mano tesa e un volto di Chiesa che tanti attendono».

Il prossimo anno, seconda tappa di questo cammino: valutare le ricadute pastorali delle acquisizioni teologiche di questa prima settimana di studio, e soprattutto immaginare percorsi praticabili perché la relazione presbiteri-sposi diventi realmente sorgente di fecondità per le nostre comunità parrocchiali. A questo proposito, è interessante l’annotazione che – a margine dell’incontro – ci ha fatto don Paolo Ciotti, presbitero della diocesi di Milano, psicologo e consulente familiare: «Sarà importante mettere a tema anche le difficoltà relazionali, le incomprensioni o i conflitti: non illudiamoci che basti solo una buona teologia, o le indicazioni del magistero. Serve anche una certa maturità relazionale e psicologica. Non sostituisce la fede e la spiritualità, ma certamente può essere d’aiuto. Anche su questo dobbiamo ancora camminare».

Pietro Boffi
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Postato da santrev il 25/05/2012 14:55

A 50 anni dal Concilio forse si parla dell'importanza dei laici. Mi vien da ridire se penso che son passati 50 anni e ancora stiamo pensando eparlando delle indicazioni del concilio sull'importanza dei laici. Noto con amarezza che la gestione del post concilio é stata gestita per la gran parte dai discendenti del card. Ottaviani. Mi ricorda un pó l'entrata in Europa da parte nostra: é stata voluta da alcuni , ma l'abbiamo data in gestione a chi non ha mai creduto né nell'Europa, né nell'euro. Ed infatti i risultati negativi si vedono su entrambi i fronti!

Postato da Franco Salis il 12/05/2012 09:57

Finalmente un articolo diverso. Soprattutto nei contenuti, perché lo “stile” si vede che è proprio di Famiglia cristiana. Cioè se lo leggessi in un altro giornale, senza firma, individuerei la fonte. Bene, a parte lo stile (ribadisco il mio è piuttosto barbaro, provocante, tendente all’aggressività, rozzo),ma trovatemi una mia affermazione che sia in contrasto con quanto qui affermato. Comincio l’analisi.1) inizia con una ammissione di responsabilità :l’azione “clerico centrica” espressione elegante, gradevole; ma che differenza c’è, nella sostanza, con la mia rozza “arroganza”? Foto Thinkstock è impropria, infelice, contradditoria con il contenuto. Ma ecco la proposta estremamente importante : “il rapporto tra presbiteri e sposi. Abbiamo scritto sposi, e non solamente e semplicemente laici, perché il Catechismo della Chiesa Cattolica è molto chiaro al riguardo: «L’Ordine e il Matrimonio sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del Popolo di Dio» (n. 1534). A parte il riferimento al catechismo di cui si poteva fare a meno, mi pare che in più circostanze ho evidenziato che il matrimonio religioso, anche nella formula concordataria, quel “prendo te” è la “promessa” (non giuramento, Gesù non vuole il giuramento, nonostante la gerarchia insista su questo strumento) dello sposo alla sposa e viceversa, di fare salvo l’altro cioè l’aiuto reciproco di rispondere alla Grazia di condurci fino a Dio. Ecco perché non si può stabilire una graduatoria fra celibato religioso e sposi (come invece fa di Papa Giovanni Paolo II nella Familiaris Consorzio). Questo è ciò che distingue il matrimonio religioso dal quello civile. Tant’è che i ministri sono non il celebrante il rito, ma gli sposi. ” Ma ti pare che al Papa interessi la questione se ha conferito l’incarico della nuova evangelizzazione a Fisichella ,privandolo della nomina a cardinale a seguito della comunione a persona non degna di menzione perché “essendo separato non vive più in condizione di peccato” mia aggiunta “nulla importa se va a minorenni”? Per questo e altri, tanti motivi non è credibile salvo che “Non sia mutato consiglio in cielo” di cui io non sia stato informato ,che “ Benedetto XVI tiene particolarmente”: «Una ministerialità di comunione tra presbiteri e sposi offre una mano tesa e un volto di Chiesa che tanti attendono». Pietro Boffi riprendendo un concetto espresso successivamente da don Paolo Ciotti Scrive: : «Sarà importante mettere a tema anche le difficoltà relazionali, le incomprensioni o i conflitti: non illudiamoci che basti solo una buona teologia, o le indicazioni del magistero. Serve anche una certa maturità relazionale e psicologica. Non sostituisce la fede e la spiritualità, ma certamente può essere d’aiuto. Anche su questo dobbiamo ancora camminare». Finalmente il riconoscimento di fragilità di diversità di comportamenti umani nella loro concretezza non più o solo un certo “buonismo da parte della “chiesa” sempre impeccabile! Finalmente si fa breccia di accoglienza delle famiglie “difficili” e non solo di quelle docili(senso etimologico del termine) Ma, se non ho inteso male, non voglio vedere prete o laico storcere il naso al passaggio di una “ ragazza madre” o in condizione peggiore. E neppure assumere la posizione di donna Prassede nei promessi sposi. O capisci quella condizione, o non dirti cristiano Ancora una volta ci viene in aiuto Manzoni quando Fra’ Cristoforo nel lazzareto “assiste” “vigila” qualora don Rodrigo ormai colto da peste e tradito dai suoi fidati per danaro, moribondo non faccia un cenno di pentimento. Si “arrabia” con Renzo che si lascia andare a propositi di vendetta contro don Rodrigo, perché così facendo lo avrebbe distratto inutilmente dal vigilare su Don Rodrigo. Ecco il ruolo di Padre Cristoforo e Renzo e don Rodrigo possono essere concretamente svolte ancora oggi con questa forma di collaborazione famiglia-clero. Xavier Lacroix, guarda a caso sposato, padre di tre figli, dopo una premessa di umiltà, aggiunge « C’è molto lavoro, per tutti, lavoro che penso si possa riassumere in due compiti fondamentali: un annuncio che raggiunga i laici, la loro umanità, sui beni umani fondamentali, come ad esempio l’essere padre e madre e il loro legame, la differenza sessuale, con argomenti umani, antropologici, quindi laici. Poi sappiamo che queste realtà sono difficili da vivere, che la solidarietà tra gli sposi è molto difficile da vivere(su questo non sono d’accordo: difficile è vivere la comunione, non la solidarietà o la semplice cooperazione), e quindi servono delle risorse spirituali. Come cristiani, noi abbiamo delle risorse da proporre: le risorse del senso dell’amore, dell’agape, del dono, dell’alleanza, dell’eucaristia che deve nutrire la fede coniugale… Dunque una parola propriamente cristiana, di spiritualità cristiana va detta. Entrambi gli annunci sono necessari». Sino a questo momento da esponenti della gerarchia ho sempre letto espressioni non di comprensione ma di condanna anche aspre e ignominiose, consegna del silenzio: vedi caso Luana, verso vescovi che si ribellano all’arroganza di Roma , caso Clafp (vedi recenti documenti della diocesi potentina su Avvenire contradditori fra loro) caso Manuela Orlandi caso Viganò etc. Dice bene Paolo Ciotti: «Penso che questo sia proprio il punto di partenza, non riflesso: quando un prete si trova bene, tra virgolette, con delle coppie, con delle famiglie, quando apre gli occhi e osserva la vita concreta, quotidiana è lì che scatta quella empatia, quella capacità di vedere nella vita dell’altro, nella vocazione dell’altro un riflesso della propria ed un riflesso dell’unica vocazione alla santità”. Quante volte ho detto che ,attirandomi l’ira (amichevole eh di brunoi,) che gli uomini della gerarchia non hanno mai incontrato Gesù, fatte salve eccezioni? Ecco qui sopra indicato il modo di incontrarlo. Ma allora le mie non erano eresie, erano casomai espresse in maniera rozza e lo riconosco, anche aggressive, lo riconosco, ma nonostante ciò pretendevo e pretendo di avere cittadinanza nella chiesa. Concludo con le parole di don Paolo Ciotti date in risposta alla domanda di Pietro Boffi «Certamente! L’auspicio è questo, e se riusciremo a vivere una dimensione pienamente umana del nostro essere persone e del nostro essere in relazione, attingendo alla forza dell’amore di Cristo questo certamente renderà il volto della Chiesa meno rugoso e più splendente. Questo è il compito che ci sta davanti». Quel “ci” sta a significare pari dignità tra laici e preti .La gerarchia per avere pari dignità deve prima “purificarsi”. Tanto per non smentirmi: Mi potete dare ADESSO una copia dei lavori del convegno sulla famiglia di Milano, che il Papa, ricevute le istanze del convegno, darà in dono ai fedeli? Buon fine di settimana a tutti.

Postato da laprimaparola il 11/05/2012 06:13

" Forse mi passa se abbraccio qualcuno..."http://asuaimmagine.blogspot.it/2012/05/forse-mi-passa-se-abbraccio-qualcuno.html Sono tornata, Siamo tornati. A valle. Ci vuole un po' di tempo per risintonizzarsi sulle frequenze del mondo che per quattro giorni ci siamo lasciati alle spalle. A Nocera Umbra non c'è campo, nè per i telefonini, nè per Internet. E' un 'area privilegiata, dove volenti o nolenti devi staccare la spina. Forse la nostalgia di questo luogo, Fonte Angelica ( Le terme del papa ), nasce proprio dal fatto che qui le connessioni non ci sono. La comunione, la condivisione, tra presbiteri e laici, consacrati e coppie unite nel Sacro vincolo del Matrimonio, il sentirsi corpo di Cristo, corpo di un'unica chiesa, sofferente e pellegrina che si interroga, alla luce della parola di Dio, sugli snodi cruciali dei nostri tempi, è grazia. E' grazia condividere una passione, dell'essere e del fare, del pensiero e dell'agire per la salvezza di questo mondo che sta andando alla deriva. E' lì che esci dalla solitudine di un annuncio senza risposte, senza interlocutori di carne, visibili, ed entri nel letto del grande fiume in cui ti perdi, piccola goccia che insieme alle altre lo costituisce. “...a guardar le stelle...” il tema che ha accomunato i figli ai genitori, intenti, come Abramo a cercare la terra da scoprire, per viverci tutti, nella condivisione dell'unico Bene. Mentre l'ultima notte, prima di ripartire, pensavo a cosa mi riportavo a casa, il dolore mi ha ricordato che il mio corpo non era andato in ferie. Avevo combattuto per non cedere alla tentazione di pensare vana la mia fatica per non perdere nulla di quello che mi veniva gratuitamente donato ogni giorno, attraverso i luoghi, le persone, gli eventi. " Forse mi passa se abbraccio qualcuno..." mi sono detta ricordando le parole che disse Giovanni, il mio nipotino, un giorno in cui una crisi di asma gli aveva tolto il respiro. Al risveglio avrei abbracciato mio marito, di sicuro. "Forse mi passa se abbraccio qualcuno.." In modo inaspettato Nicoletta Oneglia aveva spiazzato il marito Davide(Collaboratori del Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia della CEI), quando, concludendo la Lectio Divina sul dono che ognuno è per l'altro, sullo spazio da lasciare scoperto perchè il dono possa essere accolto e fruito, aveva invitato noi donne a fare un esercizio in silenzio. Guardare, pensare alle nostre spalle. Poi ai mariti ha chiesto di toccarle, di metterci sopra le mani. Ho fatto un balzo di stupore e un brivido di piacere mi ha percorso tutta, quando mi sono sentita toccata. Veramente credi alla resurrezione se tocchi o ti lasci toccare, abbracci o ti lasci abbracciare. Già, il primo abbraccio. Me l'ero dimenticato. Quello di cui si è parlato in tutto il convegno. Il dono di Gesù sulla croce. Un abbraccio che richiama un altro abbraccio, quando siamo stati pensati e amati per primi. " Forse mi passa se abbraccio qualcuno...". Lo spirito di tutto il convegno anticipato da un bimbo, il senso da dare all'impegno di presbiteri e sposi per rigenerare la chiesa, il senso da dare al dolore e alla fatica quando perdi l'orizzonte.

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