Cecenia, la congiura del silenzio

Il Cremlino ha affidato al presidente Ramzan Kadirov (nella foto) la gestione della Repubblica. Ma la pacificazione forzata non ha risolto i problemi della gente.

La congiura del silenzio

02/11/2010
Un soldato russo e una bambina cecena a Grozny.
Un soldato russo e una bambina cecena a Grozny.

Per gran parte dell’Occidente la questione della Cecenia, se non chiusa, sembra in via di “normalizzazione”. Gli ultimi eclatanti avvenimenti che hanno colpito l'inquieta repubblica del Caucaso del Nord (l’assalto al parlamento ceceno e l’attacco al villaggio “roccaforte” del presidente ceceno Ramzan Khadirov) sono ormai archiviati come semplici fatti di cronaca. Lo stesso dicasi per tutto ciò che riguarda il Caucaso del Nord sotto la giurisdizione di Mosca: dall’attentato al mercato di  Vladikavkaz del settembre scorso ai 13 attentati compiuti in questa area da kamikaze che hanno ucciso, dall’inizio dell’anno, 205 persone.

     Di recente il Vice Procuratore della Russia, Ivan Sydoruk, ha affermato che il numero dei reati commessi quest’anno da estremisti nel Caucaso del Nord è cresciuto di quattro volte rispetto al 2009 e che sono stati uccisi circa 400 insorti ed impediti più di 50 attentati. “Eccezioni” sulla via della normalizzazione. Come “eccezioni” sono le persone che normalmente scompaiono dalla Cecenia ed i giovani che da Grozny lasciano l’università e si recano sulle montagne a unirsi ai cosiddetti “combattenti”.

     La normalizzazione della Cecenia non coincide con l’imponente ricostruzione “post bellica” che ha fatto di Grozny e di tutta la repubblica un immenso cantiere, ma nel vuoto pneumatico che impedisce di conoscerne la reale situazione (sui diritti umani, sulla democrazia, sulla vera situazione sociale del paese). Un isolamento politico facilitato dal ricatto energetico di Putin e dall’inesorabile abbandono della società cecena da parte delle varie, e poche, Ong che ancora laggiù lavoravano. La regola è quella del “silenzio”: silenzio sulla disoccupazione crescente (in forte contrasto con la ricostruzione); silenzio sulle violazioni dei diritti umani; silenzio sulla corruzione e sugli interessi di una casta privilegiata sempre più aggressiva ed ingorda. Il presidente Ramzan Khadirov sta utilizzando anche la “sirena” della religione nell’intenzione di dare sempre più una spinta teocratica alla propria repubblica allo scopo di distogliere l’attenzione dei “credenti” dalle  tensioni sociali, ma con l’imperdonabile errore di spingere fasce di giovani dal tollerante “sufismo” della Cecenia verso l’Islam dei Wahabiti, presenti in montagna.

     La situazione della Cecenia è paradossale: le  prospettive della ricostruzione post bellica non sono affiancate nè da prospettive diffuse (concrete, non apparenti) di sviluppo sociale, nè da una crescente democratizzazione all’interno delle istituzioni. E le conseguenze, senza futuri cambiamenti, potranno essere esplosive, ancor di più perché il protrarsi delle ingiustizie non potrà mai essere dimenticato dalla società  cecena nel suo complesso, ovvero da quell’appartenenza ai clan che prima o poi ne chiederà conto.

     Il rischio (per un eventuale cambio di potere a Mosca o per le cause più disparate, di difficile interpretazione in una situazione così  complessa) potrà essere l’inasprimento dello scontro sociale con faide intestine diffuse. Tutto questo potrà essere evitato se la presenza della Comunità Europea si sposterà dalle intenzioni (dalle denunce di facciata) ad una reale presenza locale utilizzando tutte le istanze ed i mezzi a sua disposizione: dalla politica all’economia, dall’intervento umanitario all’aiuto in campo sociale; dagli scambi culturali e commerciali a quelli istituzionali. Uno sforzo e un’attenzione necessari per non dimenticare il monito di Natalia Estemirova: “La Cecenia è parte dell'Europa, non potete dimenticarci”.

Massimo Bonfatti
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