Finanziamenti, chi li vuole e chi no

04/05/2013

Abolire l’attuale legge di finanziamento pubblico ai partiti, introdurre misure di controllo e di sanzione sui gruppi parlamentari e regionali, avviare interventi sul piano fiscale per i cittadini che vogliono dare un contributo all’attività politica.


È questa l’agenda Letta sul tema caldo dei contributi ai partiti.
Un argomento che divide, tra lunghi elenchi di pro e contro che indicano la necessità di trovare una giusta via di mezzo. Un mese fa dieci senatori Pd (Andrea Marcucci, Rosa Maria Di Giorgi, Stefano Collina, Nadia Ginetti, Roberto Cociancich, Laura Cantini, Mauro Del Barba, Isabella De Monte, Stefano Lepri e Mario Morgoni) hanno depositato una proposta di legge per abolire il rimborso elettorale che eroga il finanziamento non sulla base delle spese effettivamente sostenute, ma in proporzione ai voti presi.

Ma all’interno del Partito democratico ci sono posizioni variegate: da un lato Bersani, Stumpo e altri che restano fermi sulla necessità di accedere ai finanziamenti pubblici per «non lasciare la politica in mano ai miliardari», magari trovando modalità più chiare e trasparenti; dall’altra Matteo Renzi che già durante le primarie si richiamava al referendum del 1993 (che decretò l’abolizione del finanziamento pubblico) e la necessità di sostenere le spese elettorali solo con contributi privati.

Contrario all’abolizione anche Sel, che però propone un tetto alle spese elettorali e la pubblicazione annuale dei bilanci e dei rimborsi di ciascun partito e di tutte le contribuzioni superiori ai 5 mila euro l'anno.
Le parole di Letta sono state «musica per le orecchie del Pdl», come ha commentato il vicepremier Angelino Alfano: Berlusconi e i suoi, infatti, sostengono la necessità di introdurre sistemi di incoraggiamento fiscale alle donazioni e al finanziamento privato, accompagnati da norme sulla trasparenza, spazzando via il sistema di sostegno pubblico. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Scelta Civica, con Monti che si è sempre dichiarato favorevole all’abolizione del finanziamento pubblico.

Abolizione tout court anche per il Movimento 5 stelle: Beppe Grillo ha fatto della lotta al finanziamento pubblico uno dei suoi cavalli di battaglia. Ma, nonostante le promesse, allo stato attuale delle cose non può rendere indietro i soldi che gli spettano per legge, al massimo potrà utilizzarli per altro (come hanno fatto gli eletti grillini al consiglio regionale siciliano).


Favorevoli e contrari, ognuno con le sue ragioni
: da un lato la necessità di non mettere i partiti in mano alle lobby, dall’altra l’indignazione per gli sprechi fatti con i soldi dei cittadini. Tutti d’accordo sul porre regole e paletti: del resto è quello che accade negli altri Paesi, dove rimborsi e finanziamenti pubblici avvengono regolarmente, ma per cifre più modeste. Una curiosità: secondo l’Institute for democracy and electoral assistance in tutto il mondo sono soltanto 55 gli Stati che non prevedono alcun contributo pubblico ai partiti, ma nella lista, che comprende realtà come la Bielorussia o il Senegal, non ci sono grandi democrazie.

Eleonora della Ratta

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Postato da Andrea Annibale il 04/05/2013 11:19

Mi pare un dibattito all’interno del quale domina, con poche eccezioni, il “pensiero dominante radicale” che non conosce sfumature, toni di grigio, mezze misure, ma solo un’alternativa netta così in sintonia con un certo animo italiano. Esiste solo il bianco ed il nero: o tutto o niente, o si tiene il finanziamento o lo si abolisce del tutto come stupidamente è stato chiesto con infausto referendum agli italiani. Andiamo a pescare, come suggerisce un altro bell’articolo di Famiglia Cristiana, nei modelli giuridici stranieri dove, semplicemente, ci sono meccanismi di controllo più penetranti sul tipo ed entità delle spese e dove, più in generale, si spende di meno per finanziare la politica. In generale, concordo con l’articolo del dott. Fulvio Scaglione intitolato “Partiti: i Paesi che funzionano li finanziano”. Il dott. Scaglione invita a non buttare via il bambino con l’acqua sporca cioè a rifiutare l’alternativa del “tutto o niente”, ciò che ho chiamato il “pensiero dominante radicale”. Il pensiero anti-sistema che demonizza la politica tout court rischia di fare più danni di quelli che può fare la casta politica attuale. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

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