Dossier - E la Romania si svuota

Viaggio nel Paese con uno dei piani di austerità più duri e contestati d’Europa. Con 2,77 milioni di cittadini pronti a fare le valige. Prima destinazione: l'Italia.

Meno posti di lavoro, salari più bassi, prezzi più alti

04/05/2011
Il Parlamento a Bucarest.
Il Parlamento a Bucarest.

La Romania si svuota, o poco ci manca. Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dalla Banca mondiale, a fine anno saranno 2,77 milioni i cittadini che avranno scelto di fare i bagagli. Circa il 13 per cento della popolazione totale. Uomini e donne partiti con destinazione Italia, Spagna, Ungheria, Israele, Stati Uniti, Germania, Canada, Austria, Francia e Regno Unito. Alla ricerca di un benessere che difficilmente il loro Paese sarà in grado di offrire nel breve periodo.

Concluso il triennio d’oro 2006-2008, quando la crescita del Pil andava dal 6 all’8 per cento l’anno, infatti, l’economia romena si ritrova oggi a leccarsi le ferite di una crisi che l’ha travolta senza pietà. Nel 2009 il prodotto interno lordo è precipitato del 7,1 per cento e quest’anno ci si aspetta un altro segno negativo, anche se più contenuto (l’1,9 per cento circa). Il pessimo andamento dell’economia, inoltre, ha trascinato con sé i conti pubblici e Bucarest ha sforato il tetto europeo del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil, che nel 2010 toccherà quota 6,8 per cento.

Per i cittadini romeni tutti questi dati vogliono dire soprattutto tre cose: meno posti di lavoro, salari più bassi, prezzi più alti. Il tasso di disoccupazione sfiora ormai l’8 per cento, contro il 6,3 del 2009. E nel tentativo di invertire la rotta, il primo ministro Emil Boc e il presidente Traian Basescu hanno cercato di sottoporre il Paese a uno dei piani di austerità più duri (e contestati) d’Europa: taglio del 25 per cento dei salari dei dipendenti pubblici, del 15 per cento delle pensioni, licenziamento di 350 mila persone nel settore amministrativo entro 5 anni, oltre a una tassa sugli interessi incassati dai depositi bancari, una sui guadagni nel gioco d’azzardo e altre su auto di lusso e seconde case.

L’esecutivo ha poi dovuto rinunciare ad abbattere le pensioni a causa dello stop imposto dalla Corte Costituzionale. Ma il Governo ha trovato subito un sistema per assicurare alle casse dello Stato altri soldi. Poche ore dopo la sentenza di incostituzionalità del provvedimento in materia previdenziale, infatti, l’Iva è balzata dal 19 al 24 per cento. Una scelta che rischia di compromettere i primi, timidi, segnali di ripresa: mentre le esportazioni e la produzione industriale hanno iniziato a crescere, la domanda interna continua a ristagnare e si calcola che questa misura porterà presto l’inflazione all’8 per cento (il riscaldamento costa già il 10 per cento in più dello scorso inverno).

Dall’altro lato, comunque, scelte così dure hanno dimostrato alla comunità internazionale la ferma volontà di Bucarest di risanare i conti pubblici. E questo ha portato soldi, un mucchio di soldi: un maxi prestito di circa 20 miliardi di euro in due anni (dei quali 13 dal Fondo monetario internazionale e 5 dall’Unione europea). E presto potrebbero arrivarne altri. Il 2011 dovrebbe essere l’anno della ripresa. Le previsioni parlano di una crescita dell’1,5 per cento del Pil e il Governo ha annunciato che il taglio agli stipendi pubblici sarà compensato in parte con un aumento del 15 per cento calcolato sulle retribuzioni dello scorso ottobre.

Solo briciole, secondo i sindacati, convinti che in questo modo si potrà ripagare a malapena il maggiore costo della vita e l’abolizione della tredicesima decisa con l’ultima manovra. Alle imprese, a ogni modo, qualche speranza concreta resta: basti pensare che i tagli hanno permesso all’esecutivo di mantenere l’aliquota unica di tassazione dei redditi, la cosiddetta “flat tax”, al 16 per cento. Una delle più basse e competitive del Continente. Chissà che, almeno per il 2011, qualche romeno rinunci ad emigrare.

Marco Ratti
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