30/04/2012
Oggi è difficile dare torto a chi considera la finanza
un’attività quasi diabolica. Dai “tango bonds” argentini al crac Parmalat,
dalle banche d’affari americane
fallite alle agenzie di rating accusate di connivenza, fino agli speculatori
immobiliari, la finanza mondiale sembra davvero un circolo di manager avidi e
senza scrupoli, che si
arricchiscono alle spalle dei piccoli risparmiatori. Chi ancora ha qualche
soldo da investire è disorientato, diffidente e…tentato dal materasso. Forse
invece è proprio questo il momento di scoprire che una finanza etica esiste
davvero, e che anzi può essere la
risposta giusta alle turbolenze del mercato. Da anni ormai, infatti, i prodotti
finanziari attenti alla dimensione sociale offrono rendimenti pari o anche superiori ai prodotti “classici”.
Il prodotto etico
più diffuso è il fondo comune d’investimento, accessibile anche a budget limitati. Può essere
composto da titoli pubblici, da obbligazioni o di azioni, oppure misto. Le
azioni ovviamente sono più rischiose, come per qualunque fondo.
In che cosa sono diversi dagli altri? Si distinguono tre tipi
di approccio: la beneficenza, che devolve
una quota dei guadagni a cause sociali; l’esclusione, che rifiuta di investire
in settori economici ritenuti contrari all’etica, tipicamente le armi, ma anche
il tabacco e le produzioni altamente inquinanti , oppure i titoli di Stato che
adottano la pena di morte; infine la selezione, che punta ” in positivo” su
aziende socialmente responsabili, quotate nelle Borse mondiali. Criteri di
scelta vincolanti non ce ne sono per scegliere i titoli; la maggioranza dei fondi si affida a indici etici
internazionali, che offrono panieri già pronti di aziende, o di Stati, sui
quali puntare.
Gli indici più autorevoli al mondo sono il
Dow JonesSustainability Index e l’indice
Ftse4Good della Borsa di Londra. C’è anche un indice europeo, l’
Ethical Index
Euro, e due indici di Borsa Italiana, lanciati nel 2010. Per entrare in questi
indici le aziende devono dimostrare di
rispettare i diritti dei lavoratori,
anche quelli impiegati nelle fabbriche del Terzo Mondo; di rispettare
l’ambiente, riducendo l’inquinamento, promuovendo il riciclo e il riuso,
evitando la deforestazione selvaggia per produrre legname o carta e così via; infine, di aiutare le comunità
con
iniziative sociali a favore dei più disagiati. A volte, questi indici
vengono accusati di fidarsi troppo
delle dichiarazioni ufficiali delle aziende, senza controllare se corrispondono
alla verità.
È però vero che
tutti vengono aggiornati, di
solito ogni anno, includendo aziende nuove ed eliminando quelle ritenute non più
meritevoli. E in ogni caso, come piccoli risparmiatori non abbiamo scelta,
visto che non possiamo indagare da soli sulle multinazionali.
L’ultima frontiera dell’investimento etico è ancora tutta da
scoprire. Si chiama
“Impact investing“, nasce per iniziativa del primo
ministro inglese Cameron e di un ex dirigente di Goldman Sachs, oggi capo della
Big Society Bank, una banca dedicata allo sviluppo della società civile. Se ne è
parlato al recente
Salone del risparmio, durante un
incontro organizzato da Vita, il settimanale della solidarietà. Si tratta di
investimenti in aziende che con la propria attività contribuiscono al
miglioramento del benessere collettivo, quindi vanno oltre la responsabilità
sociale. Esempi tipici,
l’energia rinnovabile o l’agricoltura biologica, ma c’è
anche
l’housing sociale o i servizi sanitari accessibili. Senza limiti alla
fantasia. In Italia però l’impact investing non è ancora disponibile per il
pubblico, ma solo per investitori professionali. Non resta che aspettare.
Ida Cappiello